Mentre il nostro ministro dell’economia fa dichiarazioni in Parlamento e manda lettere in Europa reticenti, se non proprio mendaci, e il Presidente della Consob, che non si rassegna all’idea di non essere più ministro, vagheggia scenari ideali tipo Giappone, a Bruxelles (esaurita la paura delle elezioni europee) si comincia a pensare ai grandi temi della riforma della governanceeconomica. Di fatto, hanno voce in capitolo in questa cruciale discussione i paesi più grandi e credibili. L’Italia è grande, ma la sua credibilità scende ai minimi storici, quando Conte e Tria promettono che nel 2020 e 2021 i saldi torneranno in linea con gli impegni assunti. Ciò potrebbe essere forse vero a legislazione vigente, che implica gli aumenti integrali delle aliquote IVA e nessun intervento di quelli che entrano e escono dai Consigli dei ministri come realizzati (flat tax, aiuti alle famiglie, ecc.), ma nessuno crede a Bruxelles che il quadro rimarrà quello delineato nel DEF. Prima o poi si comincerà ad aggiornare questo con la NADEF e a predisporre la legge di bilancio; allora saranno dolori!
La questione al fondo della discussione a Bruxelles verte sul mix politica monetaria-politica di bilancio a livello di Euro area(EA) e a livello di singoli stati. L’assegnazione dei ruoli della politica economica alla base del Trattato di Maastricht prevedeva di affidare alla politica monetaria sovranazionale il compito di limitare gli shocks simmetrici dell’intera area e alla politica fiscale nazionale il compito di intervenire per contrastare gli shocks asimmetrici, cioè di una singola economia. La convinzione comune era che questa avesse i necessari margini di manovra per, al contempo, rimanere all’interno del Patto di stabilità e crescita e effettuare efficaci manovre anti-cicliche, integrando gli stabilizzatori automatici. La crisi dei debiti sovrani a partire dal 2010 ha invece ben presto ribaltato questa convinzione, mostrando un quadro meno tranquillizzante. La necessità di controllare la dinamica del debito ha rotto lo schema standard della complementarità politica monetaria vs. politica fiscale, imponendo un ruolo sostanzialmente pro-ciclico, cioè recessivo, a quest’ultima. Ora, con la politica monetaria di EA espansiva che ha condotto i tassi di interesse al livello zero, anche un’effettiva politica fiscale di area Euro dovrebbe poter assumere la capacità di adattarsi alla politica monetaria ed essere espansiva (restrittiva) quando quest’ultima è espansiva (restrittiva). Quanto alla politica fiscale nazionale, le reazioni di mercato, o semplicemente il loro timore, impediscono di svolgere un ruolo di stabilizzazione quando un paese è soggetto a forti shocks asimmetrici. Questa insufficienza impone di riconsiderare completamente la politica di bilancio dell’EA.
In merito ad una politica fiscale di area, è chiaro che occorre andare verso la costituzione di un budget europeo con una fiscal capacitycentralizzata, in grado di coprire gli shocks globali in termini di PIL e occupazione, intervenendo sui beni pubblici continentali. In merito al problema degli shocks asimmetrici, si va affermando l’idea del sostegno della politica fiscale nazionalecon un Fondo di stabilità, finanziato da contributi nazionali che possa intervenire con trasferimenti a paesi in crisi.
Il “superamento di Maastricht” deve essere dunque inteso nel senso di affermare che la concertazione della politica di bilancio è necessaria per completare la politica monetaria quando quest’ultima diviene insufficiente. Dopo gli anni dell’ortodossia keynesiana (anni 1960 e 1970), per la quale l’attivismo della politica fiscale era un dogma (“dominio della politica fiscale”), si sono succeduti gli anni dello scetticismo verso l’uso degli strumenti fiscali in funzione anti-ciclica (dagli anni 1980 in poi). L’idea del totale “dominio della politica monetaria sulla fiscale” ha costituito una sorta di visione dominante, ma valida solo fino alla crisi del 2008 e alla Grande recessione. Da lì in poi si è affermata una nuova visione, secondo la quale la politica fiscale può essere molto efficace come strumento di stabilizzazione, avendo anche effetti positivi sugli investimenti privati, quando agisce in sinergia con la politica monetaria, divenendone complementare. Il primato della politica monetaria a livello BCE può risultare ancora applicabile di fronte a fluttuazioni cicliche moderate e non sincronizzate, con tassi di interesse comunque positivi. La nuova visione della politica fiscale si adatta a situazione di ampie fluttuazioni e sincronizzate (shock profondi e estesi), come la Grande recessione, quando i tassi di interesse sono nulli o negativi e la deflazione minaccia la stabilità economica. Si va affermando di conseguenza il principio pragmatico secondo cui le variazioni delle condizioni economiche influenzano inevitabilmente la concezione della stessa politica economica.
Di tutto ciò deve tenere conto la nuova architettura finanziaria e fiscale dell’Euro zona in corso di revisione. In autunno, la Commissione presenterà un Rapporto di valutazione delle regole di disciplina fiscale (ex Six-Pack 2011 e Two-Pack 2013), corredata dalle proposte di revisione che dovrebbero andare nella direzione indicata. Naturalmente le resistenze, in specie dei paesi della sfera tedesca e dell’Europa del Nord, sono notevoli e quindi bisogna intervenire con forza e credibilità da parte ministri economici, non solo affidandosi alla competenza tecnica degli staff di Banca d’Italia e MEF. Purtroppo l’Italia nei prossimi mesi avrà pochi titoli per partecipare a questa sfida, dato che sarà alle prese con problemi domestici assolutamente ininfluenti sul piano europeo. Sarà tra l’altro difficile le venga assegnata una casella significativa nello scacchiere decisionale della Commissione: il rischio di vedersi inviare un Bagnai o un Borghi spaventa non poco. L’obiettivo, ben poco strategico, per l’Italia sarà strappare qualche concessione per proseguire nella politica scellerata di trasferimenti monetari, eventualmente sotto il cappello di una più o meno vera flat tax. Non potrà quindi agire per portare ottenere risultati positivi sui dettagli della nuova Maastricht che, come si sa, sono quelli decisivi
Mauro
Il problema è che di fronte ad una politica monetaria ultrà.. c’è in europa una politica fiscale eccessivamente stretta rispetto al clima di crisi e di bassa crescita. Occorrerebbe un piano grande, non come il piano junker, di investimenti sostenuti da bilancio europeo. Ma roba grande… 100/200 miliardi all’anno….. o no?