Il cambiamento climatico è il tema oggi in discussione e nell’Agenda delle Istituzioni. Qualunque sia la causa “scatenante”, e quanto dipenda da ragioni antropiche oppure da ragioni naturali, il fatto è che apre uno scenario di maggiore difficoltà per l’uomo a vivere sulla Terra. E quindi l’uomo se vuole continuare la sua esperienza sulla Terra deve da una parte mitigare l’impatto negativo dovuto alla eccessiva emissione dei gas climalteranti e dall’altra preparare modalità di adattamento che gli consentano nonostante tutto una migliore, accettabile, vivibilità.
Il tema della transizione ecologica e della transizione energetica, lanciato dalla Unione Europea, prima con il New Green Deal e poi più operativamente con il Next Generation Eu, risponde principalmente, anche se non esclusivamente, a queste due fondamentali esigenze: fermare la creazione di Co2 e adattarsi al cambiamento climatico in atto e agli effetti che questo avrà sulla vita futura degli uomini.
La relazione fra co2 nell’aria e ulteriore riscaldamento della terra è oramai assodata. Per evitare che la temperatura scoppi al di sopra di un certo livello (diciamo al di sopra di due gradi in media) occorre fermare l’attuale trend e abbassare il più possibile il livello di emissione. La transizione energetica è lo strumento dedicato ad affrontare questo problema. Due sono i “tagliandi” temporali individuati: il 2030, quindi fra pochi anni, e il 2050 che è considerato il riferimento più vicino in un piano di lungo periodo.
Non ha tanta importanza discutere dei singoli obiettivi specifici rispetto ai due momenti di controllo. Il fatto è che prevedono, per essere raggiunti, una forte transizione che porti dall’uso di energia fossile (carbone, petrolio e gas) a quello di energia rinnovabile. Gli obiettivi sono particolarmente sfidanti e, se presi sul serio, modificano in maniera sensibile la struttura economica e sociale delle attuali comunità e i comportamenti degli attori sia dentro le imprese produttive che nella vita quotidiana delle comunità.
In questi giorni, con il rialzo imprevedibile dei prezzi dei combustibili fossili peraltro dovuto solo in minima parte all’avvio della transizione energetica, l’opinione pubblica dell’Europa ha finalmente compreso che cambiare la struttura energetica di un sistema non è uno scherzo e che non può avvenire a costi, economici e sociali, zero. E questi costi appaiono tanto più pesanti quanto più gli indirizzi della transizione appaiono rigidi senza alcuna possibilità di flessibilità in termini di modalità e di tempo.
Vediamo quali sono i punti critici della transizione.
Il primo è relativo all’uso del gas e dell’energia nucleare come sostegni temporanei al passaggio fra energia fossile ed energia completamente rinnovabile. Il gas fra i combustibili fossili, ed in particolare il GNL, ha il minor impatto climalterante sul sistema. Escluderlo come possibilità di utilizzo durante la transizione appare una forzatura che non tiene conto delle necessità energetiche dell’oggi. L’energia nucleare apre invece altre considerazioni. Dal punto di vista tecnico questo tipo di energia è di fatto rinnovabile e non ha impatto climalterante. Ma nell’attuale tecnologia desta preoccupazione per il non accettabile livello di rischio. E’ vero che è una modalità diffusa in tutto il mondo ma non per questo cessa di avere un livello di pericolosità che per molti è ritenuto troppo elevato. E non tanto per gli eventuali danni creati in caso di incidente ma per la durata, ultragenerazionale, degli effetti sull’area colpita. Altra cosa è invece lasciare aperta la possibilità per un’energia nucleare generata con tecnologie diverse che sfruttano o la piccola dimensione o il passaggio dalla fissione alla fusione. In questo caso l’energia nucleare deve far parte degli obiettivi della transizione energetica. E quindi deve continuare, e forse aumentare, la ricerca per il raggiungimento di tecnologie sempre più sicure.
Il secondo problema è dove e in che modo l’Italia può raggiungere gli obiettivi di produzione di energia rinnovabile. C’è l’area dell’idrogeno che può aprire campi fino ad oggi non sperimentati e su cui è bene fare sperimentazione e ricerca. Che può, in particolare, aprire possibilità importanti in termini di stoccaggio di una energia, quella rinnovabile, che ha per sua natura tempi di produzione intermittenti e non sempre prevedibili. Ma a parte l’idrogeno e in considerazione che l’energia idroelettrica non prevede grandi incrementi, anche per una insensata avversione del paese verso nuovi invasi e verso la modalità del pompaggio fra bacini a monte e bacini a valle, il peso della produzione di energia rinnovabile andrà in gran parte sull’eolico e sul fotovoltaico. Oltre ovviamente al risparmio da efficienza energetica.
E qui si apre il vero problema per il paese. O l’opinione pubblica capisce che produrre energia rinnovabile a larga scala avrà un costo paesaggistico e ambientale visibile e in quanto tale lo accetta, oppure continuerà a vivere nella illusione che con un pannellino fotovoltaico sul proprio garage, ben nascosto e occultato per non offendere il paesaggio cittadino, sarà tutto risolto e non ci sarà bisogno di ulteriori, inaccettabili, scempi all’ambiente. Non è un caso che in Italia lo sviluppo dell’eolico e del fotovoltaico è rimasto a livelli di avvio e non ha avuto la crescita già registrata in altri paesi d’Europa. Certamente la tecnologia spingerà gli impianti verso una maggiore efficienza e un minore impatto ambientale: ma è bene capire fin da oggi che non ci saranno “pasti gratis” nella transizione energetica.
Il terzo problema è legato a chi dovrà pagare i costi della transizione. Assodato che cambiare un sistema e trovare nuove configurazioni e nuovi equilibri in tempi relativamente ristretti non può essere senza costi si tratta di capire chi si dovrà far carico di tali costi. Non è un tema semplice da affrontare. In linea generale si può affermare che da una parte occorre salvaguardare le fasce sociali più basse. La grande trasformazione economica e sociale supportata e consentita dal grande “push tecnologico” già tende per sua natura a favorire le fasce, economicamente e culturalmente più avanzate. Non si può aggiungere un ulteriore impatto con la transizione energetica. E quindi occorrerà accompagnare la transizione energetica con un adeguato supporto di risorse pubbliche al fine di accompagnare e indirizzare il cambiamento e al fine di sostenere l’impatto sulle fasce più deboli. Con buona pace di chi pensa di affrontare la transizione con strette logiche di mercato. Che spesso si rivelano inefficaci nelle fasi di forte cambiamento.
Per quanto riguarda invece l’adattamento ai cambiamenti climatici, che nonostante le politiche di mitigazione nell’emissione dei gas climalteranti, avranno luogo i problemi da affrontare sono molti e molto pervasivi nell’intero sistema produttivo e sociale del paese.
Non c’è area che non verrà “toccata” dagli effetti del cambiamento climatico. E quindi non c’è sistema o subsistema da non modificare, da non adattare e da non rendere resiliente. Il lavoro deve essere di lunga lena e diffuso in ogni angolo settoriale e territoriale del paese.
Due sono in questo ambito i temi principali da affrontare.
Il primo è quello relativo all’acqua. L’acqua sarà, per effetto della nuova meteorologia, o troppa o troppo poca. E in ambedue i casi farà danni non solo relativi ad eventi distruttivi, tipo alluvioni o frane, ma anche a eventi negativi di lungo periodo come la desertificazione o l’innalzamento dei mari. Questi fenomeni sono tutti prevedibili, previsti e già, in qualche caso, in corso di realizzazione. Non c’è da perdere tempo. Occorre fare un grande piano nazionale per l’acqua che dia una qualche risposta a queste sfide. E allora interventi strutturali e non strutturali contro il dissesto idrogeologico, interventi contro la siccità e la desertificazione come la realizzazione di nuove dighe e di migliaia di invasi nel paese e contro l’innalzamento dei mari attraverso la realizzazione di barriere o di rialzo delle strutture nei porti e nelle aree di costa.
Il secondo grande tema è quello relativo alla temperatura e ad altri fenomeni metereologici estremi che toccheranno, in qualche caso per la prima volta, le aree del paese (venti, uragani, etc). Anche in questo caso non c’è tempo da perdere e occorre dotare le comunità e le città di sistemi che favoriscano la difesa e la resilienza. Per ogni territorio e per ogni fenomeno ci sarà una specifica risposta. Occorre un Piano, anche qui nazionale di lungo periodo, e tanti piani locali in grado di dare risposte adeguate ad ogni singolo territorio.
Insomma il cambiamento climatico è “fra noi”. L’homo sapiens, come sempre ha fatto nella sua storia, è in grado di affrontarlo con le armi dell’adattamento e con il supporto del proprio ingegno. Non sarà la prima volta. Basta capire che bisogna cominciare. Il tempo non va a suo favore.
ENDRO
Spesso nella storia è accaduto
Per fare due passi abuserà farne uno indietro
Ovvero mutual gain !