La situazione della guerra in Ucraina, che continua a provocare sterminio e orrore, è sempre in bilico tra una trattativa finalmente concludente e un ulteriore inasprimento bellico. Christine Lagarde ha affermato che la BCE è pronta ad adottare tutte le misure necessarie, nel caso gli effetti del conflitto continuino a soffocare la ripresa. Per gli strateghi di Goldman Sachs, le banche centrali dovrebbero prepararsi a combattere una “guerra valutaria al contrario”, rafforzando l’euro, il dollaro e altre monete, per ridurre i prezzi dei beni importati. Tuttavia, il governatore della Banca del Giappone,Haruiko Kuroda, ha segnalato che la debolezza dello yen non ha implicato un incremento dei costi delle importazioni. Al tempo stesso, Bloomberg ha evidenziato che non sempre una valuta più forte riesce a frenare l’inflazione, a causa dei diversi contesti locali e dei differenti panieri dei prezzi. Inoltre, proprio perché sono emersi problemi di fondo – come l’interruzione dei rifornimenti di materie prime e prodotti alimentari, l’impennata dei costi energetici, la caduta dell’offerta, la pressione sui prezzi e la crescita dell’inflazione a livelli inaspettati – l’incertezza che ne è derivata non può essere affrontata solo con la flessibilità delle politiche monetarie. Un editoriale del Financial Times indica come, sul versante della guerra, un cessate il fuoco o un accordo di pace duraturo avrebbero un carattere disinflazionistico, mentre l’intensificazione del conflitto acutizzerebbe la tensione stagflazionistica globale. Sul versante dell’economia, appaiono ineludibili strategie fiscali di carattere sovranazionale, in grado di offrire le indispensabili risposte immediate alla crisi e, in un’ottica di più lungo termine, consolidare il nuovo paradigma economico avviato con i piani di ripresa post-pandemica, aggiornandoli alla luce dei fatti incalzanti. In questo modo, si chiamano direttamente in causa le scelte dei governi e l’iniziativa dell’impresa privata, in una possibile complementarietà per promuovere politiche innovative degli investimenti industriali e dell’offerta, capaci di elevare produttività e salari. Tali scenari richiedono un’applicazione maggiore all’analisi delle conseguenze economiche determinate dalle ostilità. Secondo l’Economist Intelligence Unit, l’economia cambierà in cinque direzioni, accelerando le trasformazioni indotte dal Covid-19, dai mutamenti climatici e dal disaccoppiamento tra Cina e Stati Uniti. La guerra, innanzitutto, aggrava il blocco di alcune catene di fornitura, a cominciare dal settore automobilistico, aumentando la spinta per una rilocalizzazione delle attività produttive, a favore di filiere più corte, meno esposte a fluttuazioni commerciali e instabilità geopolitica. Inoltre, imprimendo un notevole impulso al rialzo dei prezzi di carburante e altre commodities, il conflitto sollecita investimenti pubblici e privati per migliorare la sicurezza alimentare. Poi, gli interventi indifferibili per ridurre la dipendenza europea dalle fonti di combustibili russe condizionano negativamente i finanziamenti per la transizione energetica nei Paesi in via di sviluppo, ampliando una sostanziale disparità con le aree più avanzate del mondo. Le sanzioni finanziarie contro la Russia, altresì, possono affrettare il passaggio dai sistemi garantiti dal dollaro alle valute digitali interoperabili delle banche centrali, soprattutto nei Paesi asiatici. Infine, le sanzioni tecnologiche, sia nella contesa commerciale USA-Cina che in risposta all’invasione russa, acuiscono i problemi geopolitici e rischiano di limitare pure l’accesso a internet. Infatti, vi è una battaglia cibernetica in corso che può portare a uno “splinternet”, ovvero a una frammentazione della rete tra un modello aperto, decentralizzato e guidato dall’industria, a occidente, e un altro chiuso, centralizzato e guidato dallo Stato, a oriente. Si potrebbero elencare, oltre alle cinque tendenze individuate dall’EIU, altri motivi di seria preoccupazione per l’economia mondiale. Jayati Ghosh sottolinea come la guerra di Putin stia danneggiando anche molti Paesi in via di sviluppo, che cercano di riprendersi dalla pandemia, suscitando un fattore aggiuntivo di vulnerabilità del quadro globale. Dal punto di vista economico, Michael Spence suggerisce di intraprendere con decisione una strategia di diversificazione delle basi di approvvigionamento e dei mercati di importazione ed esportazione con interlocutori commerciali affidabili, per rafforzare lo stato dell’economia e il potere negoziale dell’occidente, ridando ruolo all’iniziativa pubblica e al coordinamento internazionale. Ma la situazione è talmente allarmante che servirebbe, in primo luogo, un ritorno alla razionalità della politica e delle relazioni di pace, come arma suprema per far valere gli interessi dell’umanità, che solo i Paesi liberi e democratici stanno mostrando di avere a cuore.
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