Non abbiamo letto le carte. Non siamo in possesso di informazioni di nessun tipo. Non siamo in grado di giudicare se il provvedimento degli arresti domiciliari per i genitori di Renzi sia o non sia giusto. Crediamo fermamente in alcune cose: nell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge, nella presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, da cui deriva il rifiuto di ogni processo mediatico fatto in via preventiva, e nel fatto che la responsabilità penale sia personale. Se nel processo verranno prodotte prove tali da confermare le accuse, è giusto che i genitori di Renzi, e non Matteo Renzi, subiscano una pena commisurata ai reati commessi.
Detto questo non possiamo esimerci dal fare alcune considerazioni. Se esaminiamo la storia politico-giudiziaria dell’ultimo trentennio vediamo alcune costanti. Una su tutte. Il forte impatto che le vicende giudiziarie hanno avuto sulla vita del Paese. Niente di strano, si dirà. Se una classe politica non si comporta correttamente è giusto che gli elettori ne tengano conto.
Il ragionamento non fa una grinza. Bisogna però valutare anche il contesto generale nel quale l’azione della magistratura si esplica. L’Italia è un Paese con una legislazione abnorme. Nessuno sa con precisione quante siano le leggi in vigore. Migliaia e migliaia di norme, spesso anche in parziale contrasto fra loro, regolano interi settori economici e produttivi. A questo si aggiungono un fisco e una burocrazia invadenti e oppressivi. Nelle pieghe di questa situazione può essere forte la tentazione, anche per sopravvivere, di adottare soluzioni “borderline” o di violare apertamente la legge. Comportamenti, entrambi, da sanzionare ma per contrastare i quali, oltre all’azione repressiva della magistratura, serve un’azione preventiva della politica che disboschi il quadro burocratico, normativo e fiscale. Anche perché la complessità di questo quadro favorisce certamente i comportamenti devianti ma può favorire, da parte di chi è chiamato a far rispettare la legge, un’interpretazione delle norme più o meno estensiva. Valga per tutti l’esempio del “non poteva non sapere” che ha caratterizzato tanti comportamenti nell’epoca di Mani pulite. Se questo accade, come spesso è accaduto dal 1990 ad oggi, il cittadino può ricavare l’impressione di un potere giudiziario che si comporta in modo diverso a secondo di chi si trova davanti. Una sensazione, certamente errata, ma suffragata ad esempio da alcune coincidenze. Una macroscopica. Negli ultimi trent’anni gli uomini politici che, da posizioni molto diverse, hanno tentato, con soluzioni fra loro diverse, di semplificare e disboscare quel quadro burocratico, normativo e fiscale, sono stati “attenzionati” in modo particolare da settori della magistratura. È quello che ieri l’altro è successo a Craxi, ieri a Berlusconi e oggi a Renzi. Da notare che nello stesso lasso di tempo, si pensi solo per fare un esempio al decennio 1991-2001, quello della grande svendita per quattro soldi delle aziende pubbliche italiane, non fu riservata dalla magistratura ai protagonisti e alle procedure di quelle vendite la stessa attenzione riservata a chi, prima e dopo, ha tentato di cambiare il sistema. Forse coincidenze, ma coincidenze che fanno pensare. Come è difficile non sentirsi a disagio nell’apprendere che parlamentari cinquestelle, ore prima che la notizia fosse pubblica, avevano confidato a giornalisti di Montecitorio che “stava per arrivare una bomba su Renzi”. Vale insomma ancora il celebre detto “La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta”.
E’ per questo, a nostro giudizio, che sarebbe stato molto meglio evitare per i genitori di Renzi la misura degli arresti domiciliari, per la quale a detta di molti non c’erano nemmeno i presupposti oggettivi. Se ci sono le prove di comportamenti illeciti è giusto celebrare i processi e poi aspettare le relative sentenze. Così si innescano i processi mediatici e si continua a dare l’impressione che “chi tocca i fili, muore”. E questo non è un bene per gli interessati ma soprattutto non è un bene per il Paese.
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