Si vabbè, la citazione vera sarebbe un’altra, ma siamo pur sempre in orario da fascia protetta.
Tuttavia questo enunciato non è poi così campato in aria e lo rimarca anche l’Istat, con l’ultimo rapporto sul reddito disponibile delle famiglie consumatrici italiane. In soldoni e per arrivare al punto, il reddito disponibile delle famiglie è diminuito nel quarto trimestre 2020 dell’1,8% sul trimestre precedente, con una serie di conseguenze a catena, quali ad esempio una contestuale perdita del potere d’acquisto (-2,1%) e un leggero aumento della propensione al risparmio (+0,5% e pari al 15,2%).
Questo significa che se uno diventa più povero, allora tende a risparmiare di più? Non è una contraddizione?
No. E questo vale sia come fenomeno sociale, che come fenomeno statistico. Provo a spiegarmi meglio. Si risparmia di più perché si ha più incertezza sul futuro e questo determina un calo nei consumi (banalmente, aspetto a comprarmi un bene o un servizio tanto desiderato, perché poi ho paura di non avere abbastanza disponibilità economica per beni di prima necessità). Ma così calano anche gli investimenti, e di ultima istanza…il reddito complessivo. È un circolo vizioso che abbiamo (ahimè) già sperimentato nelle recenti crisi passate (2008 e 2011 per non andare troppo lontani).
C’è tuttavia un convitato di pietra di cui bisogna tener conto: la pressione fiscale, che è aumentata rispetto ai livelli di un anno fa. Ma come? Hanno introdotto nuove tasse? No. Semplicemente il calo della pressione fiscale (dovuto a minor entrate fiscali e contributive) è stato meno accentuato del calo del reddito globale ( PIL). E così la pressione fiscale media complessiva in Italia è stata del 43,1% nel 2020, (ma ben 52,0% nel solo ultimo trimestre) rispetto al 42,4% dell’intero 2019.
Qualcosa evidentemente non ha funzionato. E se il Covid è stata la causa del problema, le soluzioni adottate fino ad adesso non hanno dato i risultati sperati: le politiche di bonus a pioggia e del sostegno a fondo perduto hanno solo (probabilmente) rimandato l’adozione di una terapia d’urto fatta di riforme strutturali, da cui non possiamo più sottrarci.
(E per chi mi segue su questa rubrica, sa che il tema è stato già da tempo e plurime volte affrontato).
Anche perché senza terapia d’urto, non so mica se torneremo a “far consumi da Trieste in giù” ( semicit).
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