Certo la Lagarde non è Draghi. Ce ne siamo accorti tutti, purtroppo in una fase di particolare criticità dell’Italia. Ci aspettavamo un secondo “Wathever it takes” ed invece è arrivato un provvedimento sui LTRO (finanziamento per le banche) e sugli OMT (disponibilità di sostegno a breve sui titoli di stato dei paesi in difficoltà) abbastanza limitato e comunicato senza alcuna “enfasi”. E sappiamo bene che in questi casi una “certa comunicazione” è “sostanza” per i mercati. Ed è arrivato, cosa ancora più grave, un messaggio di indifferenza sugli spread dei singoli paesi dell’Unione. Proprio nel momento in cui l’Italia sta ricominciando a soffrire sullo spread. L’unica nota positiva è stata l’apertura di flessibilità verso politiche fiscali da parte degli Stati (spesa pubblica e tagli delle tasse) per superare la crisi indotta dall’epidemia da coronavirus. È chiaro che sulla flessibilità (l’accantonamento del Patto di Stabilità) la Bce non ha voce in capitolo. Ma è certo che l’affermazione, pur scarsamente empatica, della Lagarde su questo punto può contribuire a creare un’atmosfera politica ed economica ricettiva da parte della Ue sulla necessità di allentare i vincoli europei sui deficit.
Insomma la Lagarde è stata indisponente. Ma la risposta dell’Italia alla sua “rappresentazione” è stata insufficiente. Certo ha fatto bene la politica, e non solo quella, a criticare l’impostazione tecnicistica della “banchiera d’Europa” in un momento in cui, anche da quel pulpito, doveva prevalere un atteggiamento di solidarietà e di empatia con gli sforzi che vengono fatti in Italia che sono peraltro solo una anticipazione di ciò che accadrà al resto d’Europa.
Il messaggio del Presidente della Repubblica è stato, da questo punto di vista, esemplare. Ma tutto il resto? Tutto il resto ha peccato come al solito di quel misto di vittimismo, complottismo e arroganza che da tempo caratterizza la politica italiana nei confronti dell’Europa. È possibile che a certa politica italiana, e ai tanti connazionali che si sono lasciati andare alle peggiori offese alla Lagarde, non venga in mente che forse quella posizione, pur espressa in modo asettico e vergognosamente liquidatorio, non sia la rappresentazione di ciò che pensano i governanti e i popoli europei dell’Italia e degli italiani? Cioè non viene in mente che l’Italia col suo misto di sovranismo, populismo, inefficienza, corruzione che si accompagna al velleitarismo dei deboli, e quindi a questo immotivato senso di superiorità da bulli e di arroganza, nei confronti dell’Europa sia il miglior viatico per contare di più e per avere un aiuto nel momento del bisogno?
Ecco, io penso che mai come oggi, in questo momento duro per il paese, la mancanza di una guida forte che sia in grado di dire agli italiani cosa possiamo fare da noi, senza sperare sempre che all’ultimo qualcuno ci aiuti, sia l’asset che ci manca di più e che rischia di non farci uscire dal tunnel.
Ma davvero qualcuno pensa che, con il debito che abbiamo e che pensiamo sia un fardello di cui si deve far carico l’Europa e non noi, l’Italia in una situazione isolata, non gravata dall’euro e dalle “regoline” europee, avrebbe potuto avere risorse in abbondanza per mandare tutti in pensione, per aumentare di un punto e mezzo le risorse della sanità, per dare redditi di cittadinanza a tutti i disoccupati veri e ai sedicenti tali, per nazionalizzare le imprese in difficoltà e per coprire i danni della crisi da coronavirus. E che il problema è quindi la nostra appartenenza all’Europa e non il nostro modo completamente sballato di fare una politica economica e finanziaria in grado di sostenere la crescita e nello stesso di contenere il rapporto fra debito e pil?
Sento dire, anche da persone di cultura e che non si fanno abbindolare dai vari “commentatori da ring” che sempre più spesso arringano le folle per riprendere la sovranità perduta, che il problema è che non possiamo stampare moneta. Perché altrimenti inonderemmo l’Italia, col famoso “helicopter money”, strade e paesi della penisola rendendo tutti più ricchi e più felici. Ed intanto l’Alitalia fallisce, l’Ilva chiude e la Borsa italiana sta letteralmente franando. Eh , ma se si poteva stampare moneta!
Insomma l”Europa che vorremmo non c’è. E questo è un tema da battaglia politica. Ma chi pensa che la battaglia politica più che giusta per avere un grande piano di investimenti legato al New Green Deal, per avere l’emissione di eu bond che potrebbero fermare in parte la speculazione sui singoli paesi, per avere una spinta alla crescita e non solo una attenzione ai deficit, possa essere fatta con il “vaffa” verso leader e popoli europei ha sbagliato completamente strategia. Il “vaffa” è servito e serve in Italia per impaurire una politica imbelle, a volte troppo affarista e abbarbicata alle poltrone, come quella italiana. Ma ho paura che non scalfisca che minimamente l’establishment europeo. Figurarsi quello mondiale. Ricordo che qualche politico italiano voleva richiamare la Cina e sgridarla per il suo “primo comportamento” sul coronavirus. Ovviamente con “grande paura” da parte del colosso cinese.
L’Italia deve ritornare a fare la medio-grande potenza mondiale, vicina al livello di Francia e Germania, dimostrando di saper gestire il proprio paese, con la crescita, l’efficienza pubblica, la lotta alla corruzione e la gestione delle emergenze oltre ovviamente al proprio debito pubblico, e deve tornare ad essere un partner credibile e forte della costruzione europea. Questa è la strategia di rinascita del paese. Chi pensa che svillaneggiando e sfanculando il resto d’Europa l’Italia possa ritornare ad essere il bel paese degli anni ’60 e ’70 ha sbagliato analisi e strategia.
Ecco perché la risposta alla Lagarde deve essere fatta. Ma deve essere fatta con le armi della politica. Con la strategia di alleanza all’interno dei paesi europei. E con la dimostrazione che l’Italia c’è e che sa tenere sotto controllo le proprie emergenze sanitarie, economiche e sociali.
Scorciatoie non ci sono. Senza questa ripresa di responsabilità e di capacità c’è solo il lento declino, il velleitarismo e la frustrazione da perdenti.
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