Tutti e tre gli anni nei quali frequentai la scuola media inferiore (la Giulio Cesare di Milano), fra il 1959 e il 1963, i miei fine settimana furono funestati dal “tema” che la anziana professoressa Francesca Samarani immancabilmente ci affibbiava come compito a casa. Esso doveva essere scritto su un quadernetto molto sottile, di trenta sole pagine, perché al lunedì la professoressa potesse portarsi a casa i nostri compiti da correggere senza caricarsi di un peso eccessivo. La regola era, inoltre, che ogni pagina del quadernetto venisse piegata in due, e il tema dovesse essere scritto sulla parte di sinistra, perché la parte destra rimanesse a disposizione della professoressa, la quale riscriveva gran parte dei nostri componimenti per mostrarci come andavano scritti in modo più corretto ed efficace. Poi ciascuno di noi aveva un quadernone sul quale entro la stessa settimana il tema con le correzioni doveva essere ogni volta ricopiato. Partimmo in 31 e alla fine della terza eravamo in 11. Selezione inaccettabile, certo. Però tra gli 11 superstiti c’erano anche un figlio di portinai e un figlio di operai, le cui famiglie non avrebbero potuto insegnare loro a scrivere; oggi, all’inverso, non accade mai che venti dei trenta allievi di una classe di scuola media inferiore vengano lasciati indietro; ma neppure accade che a quei trenta allievi si insegni a scrivere bene come faceva la scuola media classista degli anni ’50 e dei primi’60. E poiché neppure nella scuola media superiore ci sono più delle professoresse Samarani che si accollino la grande fatica di insegnare a scrivere come lei faceva – né, va detto, ci sono più studenti liceali disposti a sobbarcarsi la loro parte di quella fatica – il risultato è che possono accedere all’Università tutti quanti, pur senza essere in grado di produrre una pagina scritta in modo corretto ed efficace. E l’Università, che certo non considera compito proprio insegnare quell’arte, finisce col laurearli incapaci di comporre più di un tweet, magari sgrammaticato anche quello.
(articolo tratto dal blog: www.pietroichino.it, con il consenso dell’autore)
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