Che messaggio politico, perché poi è quello che interessa a livello nazionale, emerge dal risultato elettorale nei comuni italiani?
Il primo dato è l’astensione. Si vota sempre di meno e nonostante l’amministrazione comunale sia la cosa più vicina ai cittadini, più connessa alla vita quotidiana, c’è quasi metà degli aventi diritto che diserta le urne. Eppure in una elezione amministrativa ci sono tanti candidati, tante liste e tante proposte. Ma metà dei cittadini lasciano decidere agli altri. Su questo punto occorrerebbe un po’ più di attenzione. Magari nel trovare anche forme diverse dal voto ogni cinque anni per avvicinare i cittadini alla gestione della città. Il traffico, la scuola, la sanità, l’aria, i rifiuti, l’acqua, i parchi, le scelte urbanistiche e altro ancora non dipendono per tutto e soltanto dalla politica. Ma qualcosa si può fare per dare indirizzi diversi, per fare scelte diverse e per avere città diverse. Non ci sono “bacchette magiche” ma neppure “destini segnati”: si possono fare cose diverse. E la politica amministrativa delle città dovrebbe riuscire a far emergere con più chiarezza le alternative possibili. Non tutto è scontato e incorreggibile.
Il secondo è che i cittadini che votano capiscono in gran parte e sempre di più di non dare un voto sempre e solo politico. E scelgono uomini e donne non solo “di partito” ma si sentono liberi di abbandonare i “grandi partiti” a favore di gruppi e di liste più specifici e magari con personale politico meno strutturato. Il voto amministrativo è sempre di più “libero e flessibile” ed è sempre di più legato alla “esperienza amministrativa” della singola città e del singolo luogo. E questo è un bene.
Sapendo che il voto politico è oggi generalmente più partecipato, e quindi mette in campo una fascia di elettori “disaffezionati” che hanno comportamenti elettorali meno prevedibili e scontati, e che si disperde meno in rivoli e gruppi “secondari” si può tentare di trarre comunque da questo voto amministrativo un “segnale politico”. Segnale che non sembra molto difficile da capire e che ricalca, in maniera abbastanza fedele, il “mood” che deriva dai sondaggi che settimanalmente vengono realizzati in Italia.
Il centrodestra è maggioranza nel paese e se riesce a stare unito diventerà senza grandi sforzi maggioranza nel prossimo Parlamento italiano. C’è qualche segnale di difficoltà qua e là nello stivale, perchè in Italia i particolarismi e i personalismi abbondano. Ma non sembra poi così difficile tenere unito il centrodestra su cinque o sei “parole d’ordine” facilmente sottoscrivibili da tutte le parti dello schieramento. Nel Centrodestra Fratelli d’Italia prende il posto della Lega e Meloni prende il posto di Salvini. E se Meloni sta accorta nel “carezzare per il verso giusto” Berlusconi (si spera che l’abbia capito!) e continua ad accreditarsi col suo “atlantismo sempre meno antieuropeo” potrebbe addirittura farcela a presentarsi come possibile “capo” del futuro Governo nazionale.
Il centrosinistra tiene, pur se in minoranza, sostanzialmente intorno ad un saldo anche se non dinamico PD. Ciò che non sembra funzionare granchè è la “coalizione larga”. In primo luogo perché un pezzo rilevante di quella coalizione appare completamente “squagliato” nonostante le urla della folla a Palermo che inneggiava al Reddito di cittadinanza. Non è detto che in una elezione politica quella folla magari non potrebbe ripensarci e sostenere i “benefattori”. Ma è chiaro che una forza politica che si basa solo sulla forza “delle regalie”, senza una grande strategia per il paese, è più una “palla al piede” che un valido alleato. In secondo luogo perché c’è una sinistra del paese che “mal tollera” anche il “riformismo light” del Pd e che quindi diventa difficilmente aggregabile in una “larga coalizione” di Governo.
E “last but non least” c’è la difficoltà dell’area centrista riformista a “giocare in grande”. Si vedono qua e la “figure dotate di una qualche visibilità”: Calenda, Bonino, Toti, Tosi e, pur se in un angolo da solo, Renzi. Ma difficilmente sono oggi pensabili come una “forza politica unitaria” (spersi un po’ nel centrodestra e un po’ nel centrosinistra) e incapaci di dare assieme, e non in isolamento, una strategia al paese. Il partito “Draghiano” è un “wishful thinking” che non ha, ad oggi, né capo né popolo. Forse tante idee, una strategia di sostenibilità economica finanziaria, sociale ed ambientale. Ma per la politica siamo all’anno zero.
E quindi da questa tornata amministrativa emerge che, in mancanza di riforme serie sulla legge elettorale e in mancanza di una forte soggettività politica, collettiva, del “centro del paese”, andremo dritti dritti verso lo scontro “bipolare”. E lì in centrodestra unito non avrà grande difficoltà a battere il PD con la sua “difficile e inesistente larga coalizione”. E Meloni potrà avanzare una forte ipoteca a diventare primo ministro del paese. Personalmente vedo tutto ciò non come un pericolo per la democrazia ma come una tragedia per il sistema economico italiano che è ancora in forte convalescenza. E che non so quanto potrà sopportare il populismo, il sovranismo e l’antieuropeismo insiti nella politica, nella storia e nella personalità della Meloni.
C’è ancora un po’ di tempo per rimediare, ma i segnali che vengono dal paese sono “abbastanza forti” e “molto, molto chiari”. Cari centristi se avete qualcosa da dire questo è il tempo. Dopo sarà troppo tardi.
Sergio
Cari centristi, non mi piace far la parte del pessimista, dato che non lo sono. Sono stato anche, seppure inutile, candidato d Pistoia Davvero.
Serve però essere realisti ed è realisticamente tardi per svegliarsi. Avete lasciato che sx e dx si accapigliassero intorno a niente per un ventennio circa, costringendo il paese a governi tecnici compreso quello in carica. Il paese è stato nelle mani degli “improvvisati” populisti mentre il centro e i ceti medi affacciati al balconi osservano il film che era, però, anche il film della loro vita.
E tardi, i buoi sono scappati, ma meglio tardi che mai.