La recente vicenda del monologo dello scrittore Scurati e la presunta sua censura da parte della RAI a conduzione centro destra, nel modo in cui si è sviluppata, è l’emblema di come le posizioni si siano ormai polarizzate in modo radicale e, almeno all’apparenza, irreversibile; al livello della politica più diretta, ma anche di quella più mediata pre politica, che riguarda opinioni, idee di fondo, valori. A quest’ultima sfera appartiene Il dibattito-scontro su fascismo e antifascismo innescato (o piuttosto ri-innescato per l’ennesima volta) dalla vicenda di cui sopra, ed è una sfera nella quale si cimentano intellettuali e maître à penser, spalleggiati variatamente dai politici di riferimento.
Ogni qual volta si manifestano contrapposizioni di questo tipo si assiste ad un copione già scritto, in cui tutti i protagonisti mettono in campo la stessa identica sceneggiatura, con le stesse parole d’ordine, gli stessi tic nervosi, gli stessi logoranti riferimenti alla loro lettura dell’universo. Nei riferimenti storici, nei valori, nelle identità. E quando i copioni si ripetono, il sospetto che ci sia qualcosa di storto e di dissonante è forte.
Non entro nel merito della questione Scurati in particolare. Lo ha fatto in questa pagina con lucida schiettezza Aldo Mariconda. Nella fattispecie della vicenda molto probabilmente, da quel che è stato possibile intendere, Scurati ha subìto un torto, così come nel testo censurato ha facilmente colpito nel giusto, come molti altri del resto, individuando la reticenza di Meloni sull’antifascismo. Ma non è questo il punto.
Il punto è che lui ha voluto cogliere l’occasione della ricorrenza di Matteotti per attizzare lo scontro, per provocare il caso, intuendo in anticipo la reazione. In un corteo di piazza, chi sta manifestando, con delle motivazioni magari sacrosante, passa dalla ragione al torto quando per manifestarle cerca lo scontro. E lo ottiene. E Scurati lo ha fatto, nella sua testa a fin di bene, “adesso o mai più” deve aver pensato, perché ritiene pericolosa per la democrazia la destra meloniana. Ben sapendo che la sua provocazione mai avrebbe ottenuto che seduta stante la premier accondiscendesse facendo finalmente outing sul suo antifascismo. Scurati lo sapeva, ma la nota l’ha fatta lo stesso. Insisto: per provocare e denunciare a gran voce quello che per lui è un pericolo che ritorna, sull’argomento c’ha scritto dei tomi così.
Questo presunto pericolo, quello attuale intendo, non è mai ben individuato, non è spiegato analiticamente, si rifà piuttosto a quella sentita, quanto vaga, preoccupazione per l’occupazione del potere mediatico, che viene ritenuta quasi l’anticamera della dittatura in una condizione strisciante, che forse non necessita di colpi di stato parlamentari, ma che alla fine silenzia le opposizioni, un po’ come avviene nell’Ungheria di Orban e in tante democrature. Su questo si potrebbe anche aprire un dibattito, forse qualcosa di vero c’è, e posso solo fare alcune considerazioni per invitare alla cautela.
In Italia, per esempio, abbiamo avuto Berlusconi a più riprese al governo per vent’anni e io ritengo che, al di là del liberalismo di massa sbandierato, lui e il suo partito fossero più che conservatori, sostanzialmente reazionari e di ‘destra destra’ nel pensiero e nella visione del mondo, non a caso tifando Trump e Putin senza reticenze e scopertamente, ben più di quanto faccia Meloni adesso, che anzi si guarda bene dallo sbilanciarsi. L’occupazione del potere mediatico con Berlusconi era, se possibile, più generalizzata e addirittura teorizzata. In definitiva la caricatura grottesca di Nanni Moretti nel Caimano era bastanza fedele all’agire di quell’uomo.
Nel contempo faccio notare che la sedicente sinistra manteneva le sue roccaforti di occupazione di potere in molti settori della cultura, editoria, cinema, teatro, cosa che, a parti rovesciate avrebbe dovuto destare preoccupazioni totalitarie nella destra. Ma la sinistra, ritenendosi “il bene” contro il “male” non faceva mistero di fare, con questa occupazione, la cosa giusta, anzi una obbligata azione compensativa.
Lo sfondo reale di questa ormai stucchevole diatriba è, come ho detto nelle prime righe, la tendenza alla polarizzazione non solo della politica, ma anche del pensiero e delle opinioni.
Certo, la politica diretta, quella di primo piano, ne è la rappresentazione perfetta. Per restare solo al mondo occidentale i sistemi elettorali un po’ dappertutto hanno indirizzato al bipolarismo. Solo in Francia un sistema a doppio turno riesce a mantenere chance per posizioni non polarizzate o per un polo che si distingue dagli altri due, se no anche lì la sorte sarebbe segnata. Per la verità il bipolarismo statunitense, da sempre esempio di sana contesa democratica bipolare, per quanto possa sembrare il massimo del bipolarismo, ha un polo democratico che esprime sempre figure che se la vedono internamente con i veri polarizzatori estremi, che finiscono regolarmente in minoranza. Tant’è che il democratico vincente esprime poi una linea potabile per un’opinione non estremista. Anche se poi mi si dice che in USA, nell’opinione diffusa, la polarizzazione degli atteggiamenti e del modo di essere è molto più accentuata rispetto al piano istituzionale.
Ho già avuto occasione di dirlo, ma lo ripeto sulla scia dell’audience di quest’ultima diatriba: tale condizione del dibattito pubblico non rappresenta la società reale, che difatti a sua volta non è rappresentata dalla politica. La società reale ha dinamiche molto più inclusive di quanto abbia la politica ai due livelli, quello diretto istituzionale e di lotta per il potere, e quello più mediato delle opinioni. È inclusiva, forse non per scelta cosciente, ma perché lo impongono le dinamiche sociali, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie ai vari gradi, e nella amicizie e nelle relazioni ordinarie. In questi ambiti si esprime una tolleranza reciproca di gran lunga più diffusa che nel dibattito pubblico politico; non è sempre inclusiva, ma se una conflittualità emerge, ed emerge di tanto in tanto, quella che va nelle pagine di cronaca dei giornali, l’oggetto del contendere è di tutt’altra natura, relazionale, psicologica, prevaricatrice anche, ma per altre logiche. Il che conferma l’innaturalezza, l’astrattezza del conflitto politico polarizzato nei suoi due livelli.
Lascia onestamente interdetti il fatto che nel mondo del pensiero e della cultura o non ci si esprime e si parla d’altro o, se ci si esprime, lo si fa con quella subliminale faziosità che è sottesa alla logica bipolare. Sorprende che intelligenze e pensatori fini, artisti e letterati, che dovrebbero essere abituati per le discipline che affrontano o per il mestiere che fanno, alla complessità del reale, che non si presta mai alla semplificazione bene male, buono cattivo, amico nemico, vengano presi nel vortice di questa logica.
Il fascismo e l’antifascismo non c’entrano niente, sono rappresentazioni momentanee, pretesti, argomenti contingenti, strumenti dialettici di facile e immediato utilizzo. La maggioranza silenziosa di tutte le nostre società occidentali è presa in mezzo al conflitto tra queste due forze contrapposte.
Siamo sotto scacco delle idee. Le idee hanno fatto il mondo, ma quando si cristallizzano evitando il confronto con la realtà, il loro effetto può essere perverso. Ed ecco due forze create dalla sedimentazione di idee mai autocriticate, eternamente autoreferenziali, rozze nelle loro parole d’ordine, che in realtà per motivi diversi esprimono un livore sordo proprio per la democrazia liberale, la loro cattiva coscienza. Quella che mette in crisi le idee fossilizzate da una parte in un egualitarismo totalizzante e immorale, e dall’altra in un conservatorismo elitario che aspira, guidando la massa, a sovvertire il progresso della storia con miti basati sempre sulla brutalità della forza e della separatezza esclusiva.
Rimaniamo in paziente attesa, con la fioca luce di una lanterna in mano, di qualcosa o qualcuno in grado di riscattare una buona volta l’onestà intellettuale e morale dei molti silenti e annichiliti. Come Diògene.
Daniele Carozzi
Per troppi decenni autoconvintasi di avere la verità in tasca, di sentirsi antropologicamente superiore per aver occupato ogni ganglio della società civile, la Sinistra ora grida alla lesa maestà. E si accorge di avere solo vuoti slogan. Sotto il suo antifascismo, il nulla. Anzi, è nullo anche quello…