Il Governo Draghi sta lavorando alla definizione del decreto Aiuti ter che prevedrà ― come i due precedenti (valore complessivo, 50 miliardi) ― sussidi per famiglie e imprese per coprire il cosiddetto “caro bollette”, cioè l’aumento degli importi delle bollette per la fornitura dell’energia elettrica causato, principalmente, dal conflitto tra Russia e Ucraina.
I partiti politici ― impegnati nella campagna elettorale ― rivolgono insistenti appelli al Governo per un’immediata approvazione di interventi. Ne ipotizzano costi dai 30 miliardi in su. Per la loro copertura, non escludono (tranne il leader di Fratelli d’Italia) anche il ricorso all’aumento del debito pubblico, sebbene giunto ormai alla cifra monstre di 2.800 miliardi. Se gli interventi tardassero, denunciano pesanti crisi per il sistema produttivo (chiusure di aziende) e per i lavoratori (aumento della disoccupazione).
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ― che parla di 13 miliardi per il finanziamento del decreto Aiuti ter ― esclude, categoricamente, il ricorso ad un aumento del debito pubblico. Si devono trovare altre fonti di finanziamento.
A questo scopo, in primo luogo si dà uno sguardo al bilancio dello Stato. Ci sono maggiori entrate? Il Ministero dell’Economia e delle Finanze certifica che, nel periodo gennaio-luglio 2022, c’è stato un incremento delle Entrate tributarie di oltre 30 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2021 (Bollettino delle Entrate tributarie 2022 – Settembre 2022, C:\Users\CPLNDR~1\AppData\Local\Temp\msoE326.tmp (finanze.it). Quindi, coperture al decreto Aiuti ter possono venire da questa fonte.
Udendo questa indicazione, il cittadino fa però immediatamente una considerazione: le maggiori Entrate tributarie derivano da tasse versate allo Stato da cittadini e imprese. Il Bollettino tributario analizza dettagliatamente gli aumenti (IRPEF, IRES, tasse sui giochi, bollo, ecc.). Cita, in particolare, l’IVA (oltre 16 miliardi). Questa tassa è stata pagata da tutti i consumatori su tutti i beni il cui costo, aumentato a causa dell’inflazione, ha fatto lievitare anche l’IVA. Sull’aumento dell’IVA hanno anche influito gli extraprofitti, dei quali si dirà dopo. Quindi, la somma che sarà prelevata dalle maggiori entrate per tasse è già stata pagata in anticipo da cittadini e imprese. Con gli interventi per il “caro bollette”, se ne restituisce loro una parte. Manon c’è un costo in più per il bilancio dello Stato. Gli annunci governativi creano tuttavia l’illusione che sia lo Stato a intervenire per le necessità di cittadini e imprese.
Il decreto Aiuti ter necessita però di ulteriori risorse. E, allora, torna in campo la tassazione degli extraprofitti. Tutte le imprese che operano nel settore energetico hanno avuto strepitosi guadagni per uno strano meccanismo che lega gas ed energia elettrica (di qui le politiche anche europee per far decadere il meccanismo). L’aumento del gas trascina anche l’aumento dell’energia elettrica, indipendentemente che sia prodotta da altre fonti meno costose. Quindi si deve far pagare una tassa straordinaria su questi profitti extra (per questa tassa, si stimano maggiori entrate di 10 miliardi). A causa di una norma male impostata l’espediente, già contemplato nel decreto Aiuti bis, non ha avuto successo. Nel decreto Aiuti ter si cercherà di non fare errori.
Ma, anche in questo caso, c’è un bluff. Gli extraprofitti sono stati pagati dai consumatori attraverso i maggiori oneri caricati sulle bollette. Con la loro tassazione, e concedendo sgravi sulle bollette future attraverso le entrate derivanti allo Stato da questa tassa, non si fa che restituire ai consumatori una parte di ciò che hanno già pagato. Ed anche in questa operazione sembra che lo Stato non ci rimetta, anzi che ci guadagni, e magari non poco.
Altre risorse possono derivare da un ulteriore espediente ― più impalpabile ― fornito dalle “alchimie” della Contabilità pubblica: lo stanziamento di bilancio. Essendo un argomento tecnico particolare, occorre fare alcune precisazioni. Quando il Governo intende realizzare determinati progetti, indica nel bilancio dello Stato somme che ne dovrebbero coprire gli oneri. Queste somme non sono soldi reali già presenti o che arriveranno nelle casse dello Stato. Però, essendo scritte nel bilancio, contabilmente esistono. Se non hanno altre coperture, sono coperte dall’aumento del debito pubblico previsto nel quadro generale del bilancio. Entreranno in gioco solo quando s’incomincerà a realizzare il progetto. In quel momento, si cercheranno (affannosamente) le monete sonanti reali.
Il fenomeno esiste in tutti i bilanci dello Stato. Consente alla politica di fare bella figura anche promettendo la luna nel pozzo, senza avere i soldi per pagarla. I progetti annunciati si proiettano nel tempo. Se partono, si vedrà cosa fare per onorare le spese che diventano effettive. In realtà, le regole ― mai osservate ― consentono la scappatoia soltanto per un tempo limitato, con delusione di chi faceva conto su “stanziamenti di bilancio” che c’erano, ma poi sono decaduti col tempo, e quindi non esistono più.
Il Governo lo dice un po’ di sfuggita, ma pensa di trovare altre risorse per il decreto Aiuti ter anche ricorrendo all’espediente dello stanziamento di bilancio. Come. Alcuni decreti che dovevano essere emanati per regolare problemi reali non hanno ancora visto la luce. Però indicavano “stanziamenti di bilancio”. Cancelliamo i decreti, e ci prendiamo questi stanziamenti. Mancano le monete sonanti. Non importa. Nel bilancio dello Stato risultavano (virtualmente) tra le somme occorrenti per determinate finalità e trovavano già copertura, come detto, nel calderone generale del debito. Ora si trasferiscono ad altre necessità (finanziamento decreto Aiuti ter). Ma l’entità della spesa del bilancio non cambia.
In conclusione, sommando gli importi ricavabili dall’aumento delle entrate per tasse, quelli derivanti dalla tassazione degli extraprofitti e quelli carpiti agli “stanziamenti di bilancio” si otterranno i 13 miliardi (ma potrebbero anche essere di più in funzione della detta addizione) per finanziare il decreto Aiuti ter. Non occorre quindi fare altro debito pubblico.
Sorprende che, in tutti questi dibattiti, non si affacci mai l’ipotesi che maggiori risorse possono anche derivare da riduzione delle spese, la famosa spending review. Eppure essa fa parte dei progetti (Economia e Finanze, M1C1-102- Riforma 1.13) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che vanno presentati all’Europa entro il 2022. Se il PNRR sarà la panacea per sanare tutte le magagne economiche del Paese, è auspicabile che la spending review metta a nudo gli infiniti sprechi della spesa pubblica, anche se da essi molti soggetti ― talora anche collocati in posizioni di vertice ― traggono notevoli benefici.
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