Beatrice Venezi l’ho vista dirigere un’orchestra qualche anno fa, in un’epoca che ora mi pare lontana, quando si faceva la vita normale e si andava persino a teatro. Fu un concerto bellissimo, la sua direzione di alto livello, nonostante che lei fosse molto giovane.
Ma aveva già quel carisma, quel portamento nobile e quel gesto deciso ed elegante che sono tipici dei grandi direttori d’orchestra.
E’ anche una donna bella e comunicativa, tanto che è stata invitata a fare la co-conduttrice della quarta serata del festival di San Remo, dove si è presentata in un magnifico abito rosso fiammante.
Ed ha fatto scandalo, ma non per la sua mise o la scollatura. Perchè ha osato demolire, proprio dall’alto del prestigioso palcoscenico dell’Ariston, uno dei principali cavalli di battaglia del politicamente corretto: il genere grammaticale dei nomi delle professioni.
Infatti è stata proprio la lingua il terreno su cui un certo tipo di femminismo – quello ideologicamente spostato a sinistra, quello della Boldrini e compagne giusto per intenderci – si è battuto con maggiore grinta e determinazione negli ultimi tempi. Così, per purificare l’italiano dai secolari pregiudizi maschili, le femministe boldriniane ci hanno propinato alcuni orribili neologismi come “sindaca” o “ministra” che purtroppo hanno iniziato a circolare nei media a loro più vicini, e di conseguenza si stanno diffondendo sempre di più.
Ma Beatrice Venezi, da vera professionista e artista, se ne frega del femminismo linguistico. Per lei il femminismo – mi sembra di capire – non è un’ideologia ma il suo modo naturale di essere, di lavorare, di aver conquistato senza le quote rosa un ruolo prestigioso nel mondo musicale come quello del direttore d’orchesta.
E quando Amadeus le ha chiesto come bisogna chiamarla, lei ha detto semplicemente: “Chiamatemi direttore, non direttrice”.
Viva le donne intelligenti, che hanno studiato e fatto carriera. Che sono sicure di sè e padrone del proprio destino. Che lottano per la parità di genere sui luoghi di lavoro, in politica, dove si fa ricerca scientifica, nelle situazioni che contano veramente. E che non ci rompono le scatole con la grammatica e le desinenze dei nomi.
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