Netanyahu vola stamattina verso Washington: se fossimo nella sua mente avremmo davanti tutte e cinque i fronti di guerra che potrebbero costringerlo a tornare di corsa a casa prima di incontrare Biden, prima di parlare al Congresso, prima di vedere, forse, anche Trump. Tutti e cinque portano, alla fine, un solo nome: Iran. Iran si chiamano i Houti che da decenni ormai, a 1800 chilometri di distanza da Israele, per ordine degli Ayatollah scrivono sulla loro bandiera, e non è un modo di dire, “morte all’America e morte agli Ebrei”; gli Houty dal 7 di ottobre hanno bombardato un Paese con cui non hanno niente a che fare con 200 fra missili e droni; dopo aver colpito e ucciso a Tel Aviv, venerdì adesso ardono nella indispensabile rappresaglia. Si chiamano Iran, in realtà, gli Hezbollah che uccidono e distruggono ogni giorno dal confine del Libano e che hanno costretto allo sgombero le città e i kibbutz israeliani; Iran si chiama Hamas, rimpinzato di armi e soldi da Teheran e dal Qatar, che ha portato a compimento la più grande e sanguinosa violenza individuale su donne bambini e vecchi ebrei dalla Shoah, e il cui capo Mohammed Deif finalmente ieri è stato dichiarato morto; Iran sono le milizie che agiscono e colpiscono dalla Siria e dall’Iraq; Iran, ultimo ma non meno importante fronte, sono i fiumi di denaro che raggiungono i movimenti di studenti e attivisti woke antisemiti che inondano le piazze europee e americane. Bibi va in America a spiegarlo e a dire che comunque Israele ha il dovere di difendere i suoi cittadini, anche nel caso debba farlo da solo: Blinken ha detto che in un paio di settimane la Repubblica Islamica avrà l’uranio arricchito per le bombe atomiche che persegue da tempo. Esse terranno prigioniero, proprio come oggi Hamas tiene prigionieri gli ostaggi israeliani, il resto del mondo. Bibi parlerà al Congresso anche di loro, della crudeltà con cui sono ancora trattenuti nell’inferno sotterraneo dell’integralismo islamico mentre l’ONU in quella che ormai appare come una forma di demenza seguita a non capire niente e a condannare Israele, e l’America tentenna, e l’Europa si occupa d’altro. Da Israele allo Yemen ci sono 1800 chilometri: e Israele li ha volati tutti da solo per colpire i Houti, come ha dichiarato Kirby, rappresentante del Consiglio Americano per la sicurezza nazionale. C’era ammirazione nelle sue parole. Israele ha scelto finora di non volare con gli F15 le poche centinaia di chilometri fino a Beirut o i 1600 chilometri fino a Teheran. Ciò che è accaduto sabato dimostra che a volte la misura si riempie, che comunque un Paese deve difendere i suoi cittadini, che prima della politica viene la vita, al primo posto. L’Iran mette a rischio la sopravvivenza di ciascuno, da ogni lato. Quei milleseicento chilometri prima o poi devono essere compiuti, in un modo o nell’altro, con gli F15 o con una chiara presa di posizione deterrente di un fronte mondiale che dica basta alla prospettiva di una guerra messianica globale; meglio sarà se a Washington ci si renderà finalmente conto che anche a Gaza Israele combatte nel nome del buon senso comune come lo intende l’Occidente. Si chiama democrazia, libertà, e Israele è stata costretta a difenderle volando fino in Yemen.
BIBI VA NEGLI USA, IN MENTE L’IRAN, IL VERO NEMICO
Antony Blinken con Netanyahu. Il premier israeliano vola negli Usa, questa settimana, in un momento in cui Israele sta ancora subendo un attacco concentrico dai terroristi sponsorizzati dall’Iran. E quando l’Iran è a due passi dall’avere l’atomica, secondo quanto dice Blinken.
Il Giornale, 22/07/2024
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