Lo scorso 24 Marzo si sono svolte le Elezioni Regionali in Basilicata che hanno decretato la vittoria di Vito Bardi (42,20%), generale della Guardia di Finanza in pensione, indicato da Silvio Berlusconi ed a capo di una lista comprendente partiti e civici del centrodestra classico, ovvero con dentro anche la Lega. Ciò anche in virtù della fuga dal M5s: il 23% dei voti ottenuti dalla coalizione vincente arriva dagli elettori pentastellati, che solo un anno fa alle Politiche ottennero il 44,35%. Battuto Carlo Trerotola (33,11%), farmacista, candidato per il Centrosinistra, sostenuto da un’ampia coalizione ed indicato dall’ex governatore lucano, Marcello Pittella (fratello dell’europarlamentare Gianni), il quale si era dimesso nel luglio scorso per vicende giudiziarie. Al terzo posto si è classificato Antonio Mattia (20,32%) del M5s, imprenditore 47enne, che per la candidatura aveva ottenuto 322 voti sulla piattaforma Rousseau. Fuori dal podio, Valerio Tramutoli (4,37%), professore universitario, al vertice di una lista che aveva messo insieme realtà civiche, ambientaliste e quei settori della sinistra alternativa non disposta a confluire nel polo di centrosinistra. Il risultato, in ogni caso, è ormai materia per gli archivi; la realtà ci dice che dopo 24 anni a guida Centrosinistra, torna a vincere il Centrodestra. È la terza sconfitta, in elezioni amministrative, del Centrosinistra dal 3 marzo, data in cui Nicola Zingaretti ha conquistato la leadership del Partito Democratico e la sesta, dopo le elezioni politiche di un anno fa. Il dato di rilievo è che la Lega di Salvini risulta determinante anche nel Sud Italia, tanto da far vincere il Centrodestra pure in una Regione cosiddetta rossa come la Basilicata. Interessante, oltre al dato eclatante appena descritto, è anche la cosiddetta analisi dei flussi, un metodo di rilevazione che, per quanto complesso, forse non del tutto attendibile, è utile a far capire gli umori dell’elettorato. Per esempio, tale ricerca rivela che in Basilicata, la classe media e i ceti popolari, si siano orientati prevalentemente verso il Centrodestra. E che lo stesso accada per la classe operaia. Migliori notizie per il Centrosinistra arrivano dal voto dei cosiddetti “baby boomers”, ovvero i nati tra il 1946 e il 1964, che per il 45% si sono orientati verso Trerotola. Il dato locale certamente può essere condizionato da fattori contingenti, ma non vi è dubbio che il dato debba essere considerato importante anche a livello nazionale. Ecco dunque che appare interessante constatare che i millennials (i nati tra il 1980 e il 1964) si dividono in prevalenza tra i Cinquestelle e il Centrodestra, mentre i più giovani, la generazione Z (dopo il 1997) votano in prevalenza il M5s (44%). La generazione X (1965/79) è decisamente orientata (50%) verso il centrodestra. Se infine andiamo ad osservare la motilità del voto, ci accorgiamo che esiste un’ampia parte degli elettori del Centrodestra molto fedele, mentre emorragie vistose si registrano tra i Cinquestelle, con gli elettori in fuga maggiormente orientati verso il Centrodestra e il non voto, piuttosto che verso sinistra. Degno di riflessione, pure un dato del centrosinistra, i cui delusi in prevalenza hanno votato per il centrodestra e pochi per i Cinquestelle. Cosa ci dice tutto questo? Che i partiti e le coalizioni dovrebbero saper cogliere gli umori dell’elettorato e soprattutto non essere autoreferenziali, nè tantomeno rifugiarsi nelle coalizioni tradizionali. Questo vale anche per il Centrodestra, che prima o poi dovrà fare conti con la sua parte governativa legata ai pentastellati a livello nazionale. Al momento funziona la politica del doppio forno, ma la storia insegna l’ambiguità in politica gioco lungo non può funzionare. L’analisi dei flussi, fa insomma capire che la proposta politica sia poco attrattiva verso l’elettorato, che talvolta si orienta al voto di fedeltà, altre alla fuga, ma con un deficit di rappresentanza palese, come testimonia la vasta area del non voto, che in Basilicata ha riguardato il 47% dell’elettorato. Si tratta altresì di un dato in calo di ben 10 punti, rispetto alle elezioni del 2013, che secondo gli analisti è dovuta alla radicalizzazione del confronto, piuttosto che ad un recupero di credibilità. Eppure le forze politiche sembrano non curarsene. Matteo Salvini, che sta raccogliendo vittorie a raffica e un consenso alle stelle nei sondaggi, si conferma un “animale” da campagna elettorale permanente. Tra slogan e alcuni cavalli di battaglia, il leader della lega commenta: “il nostro non è voto di pancia”. Luigi Di Maio, l’altro vice premier, nega la sconfitta ed esulta, affermando: “Il MoVimento 5 Stelle è la prima forza politica in Basilicata”. Nicola Zingaretti, il cui Pd si è presentato con un simbolo contenente lo stemma piccolissimo, raccogliendo un poco lusinghiero 7,75%, dichiara: “la Basilicata dimostra che l’alternativa siamo noi”, subendo l’ironica replica della compagna di partito, Anna Ascani: “Alla sesta volta credo che persino il grande Toto Cutugno abbia smesso di esultare per il secondo posto”. Berlusconi invece punta direttamente il dito sulla propria immortalità politica: “Siamo indispensabili come 25 anni fa”. Giorgia Meloni, che sulla scia della popolarità di Salvini, poggiando su analoghi slogan, per esempio: “prima gli italiani”, riesce a rosicchiare un buon tesoretto di voti (5,91%), ostenta una sorta di patriottismo: “Basilicata libera. Il centrodestra espugna la storica roccaforte della sinistra”. Ogni commento tratteggia un atteggiamento, da parte dei leader politici, che pare non tenere troppo conto del sentire della gente e del messaggio che ogni consultazione elettorale trasmette, anche al di là degli esiti di facciata. Sotto il vestito che ogni leader cerca di far indossare alla propria parte politica è sempre più palese il niente.
Stefano Baccelli
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