Dare un’attuazione coerente con gli obiettivi fissati a livello europeo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nei tempi previsti non è impresa facile. Quando occorrono decisioni rapide e procedure eccezionali vengono a galla i nodi irrisolti che da anni si trascinano nella nostra enfatica articolazione amministrativa. È essenziale semplificare le norme e renderle funzionali alle urgenze, ma stando attenti a non cadere in scorciatoie perniciose. Talvolta la via italiana alla semplificazione si è trasformata in aggiunte di organi destinati ad aumentare antagonismi e contenziosi. Una questione che investe molto la Toscana ed è certamente tra le principali di quelle inscritte nelle normative che si vanno elaborando è la “rigenerazione urbana”. Se non si vuol ripartire trascinandosi dietro errori, limiti e strozzature ormai a tutti evidenti. L’alternativa non è tra coraggio dell’innovazione e fedeltà alla tutela. Sarebbe un bel guaio se esplodesse una guerra tra indirizzi varati dai Comuni e dagli altri enti o organismi pubblici e posizioni delle Soprintendenze da poco (inadeguatamente) riformate. Avvisaglie ce ne sono ed è bene tentar di fare chiarezza senza addentrarsi in disquisizioni legislative che cambiano di giorno in giorno. La via scelta dal governo è stata quella di istituire presso il Ministero della cultura (Mic) una Soprintendenza speciale – transitoriamente operativa fino a tutto il 2026 – che passi al vaglio ed esprima pareri sui progetti di pertinenza facendo valere, se del caso, «poteri di avocazione e sostituzione nei confronti delle varie Soprintendenze Archeologia Belle Arti e Paesaggio». E l’articolo della bozza di decreto presentata che ha destato più di una perplessità è il 18: vi si delineano «interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti fuori sagoma o innalzamenti all’altezza massima dell’edificio demolito» oltre le distanze minime prescritte, purché non difformi da quelle preesistenti e comunque consentite da «appositi piani urbanistici di recupero e riqualificazione» rispettosi della disciplina di tutela vigente. Arrovellato com’è, accenderebbe dispute a non finire. A nome dell’ANCI, l’associazione nazione dei comuni, il presidente Antonio Decaro, primo cittadino di Bari, ha criticato aspramente il centralismo dell’impianto e minacciato che i sindaci abdichino dal loro ruolo e consegnino alle Soprintendenze le fasce tricolori indossate «in rappresentanza del popolo». In una stagione difficile come quella che stiamo vivendo una tale contrapposizione è da escludere a tutti i costi. Rigenerare una città non può significare demolire disinvoltamente elementi del tessuto storico in nome di una febbre edificatoria alleggerita da ogni regola. Tra una vigile conservazione del patrimonio esistente e le innovazioni di ordine non solo tecnologico da innestarvi non c’è contraddizione. I nemici da battere sono il conservatorismo inerte delle rendite e uno scriteriato liberismo. Conciliare con intelligenza e sensibilità le ragioni della cultura e le spinte di una nuova economia è possibile. In Toscana ci si rende conto ora con punte di angoscia che spesso la tutela di per sé si è tramutata talvolta in un privilegiamento dell’estetica e delle forme. In nome di un giusta protezione di valori da tesaurizzare, ma in assenza di politiche nazionali lungimiranti, i residenti sono stati costretti a disperdersi nei dintorni. E i nuclei prestigiosi delle città più ambite son diventati luoghi di esibito commercio e di invadente turismo. La dimensione sociale e la solidale convivialità sono state marginalizzate o ignorate. Ben venga una ripartenza che crei spazi di incontro nuovi, conferisca destinazioni utili a immobili in degrado o a vuoti deserti. Si torna a parlare di Grande Firenze, ma limitando l’auspicata cooperazione tra Comuni alla gestione dei servizi, che è già qualcosa. Tra città e campagna, tra costruito e verde, è fondamentale una complementarità che sia frutto di una visione ecologica storicizzata. Senza tutelare la forza del passato non ci può essere un futuro amabile e salubre. Altezzose rivendicazioni populistiche di autosufficienza sono anacronistiche. C’è bisogno più che mai di una comprensiva alleanza tra missioni differenziate e una critica convergenza di discipline.
(Questo articolo, con il consenso dell’autore, è stato ripreso dal “Corriere Fiorentino”, 27 maggio 2021, p. 1 e p. 12)
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