Invito a leggere questo saggio di Sergio Benvenuto https://www.soloriformisti.it/perche-la-sinistra-perde/ intitolato “Perché la sinistra perde dappertutto” pubblicato dall’amica testata SoloRiformisti (a sua volta prendendolo da www.leparoleelecose.it). È molto lungo e complesso, non sono del tutto d’accordo su alcune delle affermazioni contenute, ma offre numerosi spunti interessanti e originali. E soprattutto molto problematici nel senso che mettono di fronte a domande intriganti. Io vorrei tentare di porre qualche riflessione sul tema centrale e che rientra nell’ampio dibattito (già più di una volta affrontato anche dalla nostra testata) circa la crisi di capacità di rappresentanza della sinistra. O meglio, della sinistra “non radicale” con ambizioni di governo (non autoconsegnatasi alla testimonianza minoritaria) come la chiama l’autore.
Una premessa, molto vera ma spesso sottaciuta, è che siamo tutti vittime di una certa retorica sulla democrazia che si nutre del “pregiudizio socio-metafisico: che la Verità è nel Popolo, che la gente comune ha il privilegio di sapere la verità” (i virgolettati in corsivo, qui e in seguito, indicano le citazioni letterali del testo di Benvenuto). Semplicemente: non è vero. Se andiamo tra la gente, la mitica gente, sentiamo opinioni molto poco politically correct su qualsivoglia argomento, siano le tasse, i diritti civili, gli immigrati, l’atteggiamento da tenere sull’Ucraina… Insomma, non è questione di sentirla la gente, non è (solo) una questione di empatia, intelligenza emotiva per cogliere gli umori – anche i più “bassi” – del momento perché altrimenti un partito diventa “una cooperativa di demagoghi che sfruttano il vento del momento”. Benvenuto sembra in altre parole ritenere che, almeno in questo momento storico, il principio Vox populi vox Dei lavori a favore della destra (e di quella peggiore). Non concordo del tutto ma certamente è vero che la sinistra non radicale deve trovare dei temi attraverso il quali proporre una sua visione del mondo e della società verso cui vorrebbe indirizzarsi.
Quali sono allora i temi portanti che oggi è possibile ipotizzare per un’area di sinistra liberal e non radicale con aspirazioni di governo? Benvenuto ne elenca alcuni, per smontarli inesorabilmente. Non l’ecologismo perché è ormai convinzione condivisa (a parte pochi stolti negazionisti) la necessità di una svolta ecologica della società; non l’onestà, troppo logoro e troppo spesso nei fatti disatteso, dimostrando di non essere una specificità di una parte. Resta il tema dell’eguaglianza. Qui l’Autore individua due categorie, ben distinte: l’eguaglianza di arrivo e quella costitutiva o formale (ci torneremo poi).
Cosa sono le eguaglianze di arrivo? Quelle di reddito, di potere, di sapere e di prestigio. In primis, comprensibilmente, quella di reddito. E qui l’autore argomenta come diminuire le diseguaglianze di reddito sia oggi, semplicemente, un esercizio vano in quanto la politica ha armi sostanzialmente spuntate per intervenire (“La semplice verità è che, a meno di non fare ricorso a sistemi dispotici e costrittivi, è molto difficile per il potere politico ridurre le diseguaglianze. La loro espansione è il prodotto di processi molto complessi su cui la volontà politica ha solo moderatamente presa”). Anzi, in molti casi, le azioni possono portare a esiti opposti alle intenzioni. Non entro nel merito della lunga trattazione attraverso cui l’Autore arriva a questa conclusione, che in alcuni punti, peraltro, non mi vede del tutto d’accordo (per esempio trovo che sia sottovalutato l’impatto della preparazione scolastica come strumento di elevazione sociale) ma nella sostanza le argomentazioni sono abbastanza convincenti per supportare la conclusione che “le masse dei vari paesi industrializzati hanno capito, per una sorta di esperienza inconsapevole accumulata, che non sarà la sinistra ad elevare il loro status sociale relativo. Non perché la sinistra non ne abbia veramente la volontà, ma perché non ne ha veramente gli strumenti”.
Ma oltre al criterio del denaro vi sono altre “eguaglianze di arrivo” quelle che si caratterizzano per il “prestigio” sociale. Sono le élite politiche, epistemiche e di notorietà, tutti gli elementi, cioè, che per il potere, la conoscenza e la competenza e, infine, il glamour e il successo nei vari campi (spettacolo, sport, seguito social) distinguono e caratterizzano gli individui. E qui viene il punto più originale del ragionamento di Benvenuto. Perché, osserva questi, proprio l’aspetto del prestigio e della riconoscibilità sociale è antitetico all’uguaglianza tanto auspicata. Anzi, il voto di destra attira proprio i left behind, coloro che non hanno un lavoro gratificante, che non hanno una particolare istruzione, che non hanno alcuna rilevanza sociale. Coloro che guardano con “rancore invidioso” i ceti abbienti, colti, che hanno networking sociale, che sono riconosciuti. Ovvero, per usare un termine ormai abusato ma che rende bene, “il mondo delle ZTL”. In definitiva “il voto a sinistra è sempre più voto delle metropoli, delle élites intellettuali, dei giovani, delle donne in carriera, di chi ha studiato, di chi è andato nelle migliori università dove domina una sorta di neo-marxismo post-strutturalista… Questo significa che ormai è la sinistra, anche quando perde le elezioni, a dominare di fatto la società di oggi, perché sono sempre i ceti più ricchi, più colti, più influenti, più aperti a guidare lo sviluppo delle società”.
Ricapitolando, temi identitari come ecologia, onestà sono armi spuntate, l’eguaglianza economica non è una leva sostanzialmente perseguibile, con le altre eguaglianze d’arrivo abbiamo visto che in realtà la sinistra “gioca in trasferta”. Ecco allora il motivo dell’enorme enfasi sull’altra categoria: l’eguaglianza costitutiva che attiene al campo dei diritti. Eguali diritti tra uomo e donna, diritto di vivere o morire, diritti di cittadinanza per gli immigrati, diritto di esprimere liberamente i propri orientamenti sessuali ecc. Ma non solo: sono addirittura controproducenti perché, per esempio, insistere sui diritti degli immigrati mina i residuali “privilegi” (anche solo percepiti come tali) dai left behind, ovvero quello che hanno ricevuto gratuitamente dal destino, come “diritto di nascita”: la loro cittadinanza (mentre quegli sconsiderati di sinistra vorrebbero regalarla con lo ius soli), il welfare (minacciato dagli immigrati), il lavoro (magari pagato male ma con garanzie che gli immigrati mettono in discussione), la loro religione (anche se non vanno a messa neanche per sbaglio), la loro eterosessualità (cosa di cui, con tutta l’enfasi sulla libertà di orientamento sessuale, quasi quasi ci si deve vergognare..).
Pur con tutta una serie di riserve, secondo me Benvenuto coglie nel segno. Che fare allora? Il tema mi sta a cuore perché a mio parere non riguarda la sola sinistra non radicale ma anche tutto l’universo liberal, riformista (il Terzo Polo per intenderci) a cui molte delle considerazioni di Benvenuto si possono parimenti applicare.
Non ho ricette particolari ma credo si possa tentare di trovare quantomeno un certo equilibrio tra il vox populi vox Dei e la pretesa di imporre un Pensiero che, in senso quasi kantiano, sia “ordinatore” e “costruttore” del mondo come “qualcuno” ritiene debba essere.. Sarebbe cioè già un progresso dismettere l’insopportabile atteggiamento di superiorità morale e intellettuale che molti che si devono dimostrare “di sinistra” a ogni piè sospinto esibiscono troppo spesso. È un atteggiamento spocchioso che davvero contribuisce al rancore di cui parla Benvenuto. E la Schlein, va detto, rappresenta plasticamente questa postura. E, se ha ragione Benvenuto, la Schlein (finché dura) è oggettivamente la migliore alleata di Meloni.
Credo che invece la ricetta sia sparigliare i temi e trattarli tutti con la filosofia dell’utilitarismo: il massimo dei benefici per il massimo possibile delle persone. Perché, rancoroso o meno, se all’attuale cittadino che vota a destra, o non vota per stanchezza e disillusione, si fa capire che esiste un’idea di Paese che a lui “conviene” il rancore viene meno. Se si fa una seria politica su Sanità Pubblica, sulla scuola, una politica dei trasporti, sulla giustizia, sulla transizione energetica, se insomma si incide sui temi veri, che toccano TUTTI e non sono solo identitari, la partita è aperta e peraltro costringerebbe anche la controparte a fare politica perché, si badi bene, bloccare l’agenda su temi identitari (che, come argomenta Benvenuto, sono armi spuntate) è uno straordinario favore proprio alla controparte che può specularmente “buttare la palla in tribuna” appellandosi ad altrettanti temi identitari, nascondendo le proprie carenze (che a volte sono gigantesche).
(articolo ripreso dalla rivista on line Luminosi Giorni)
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