Con Zeffiro Ciuffoletti, eminente storico dell’università di Firenze ma anche presidente della recentemente costituita Istituzione di Studi Firenze per l’Europa (ISFE) vogliamo, in una serie di interviste, ricostruire il percorso di formazione dell’idea d’Europa nel secolo breve che ci sta alle spalle.
Dal carnaio della prima guerra mondiale, da quella inutile strage, cosa emerge come progetto politico per impedirne la ripetizione? L’utopia del governo universale affidato alla società delle nazioni cui si contrappone l’idea di una Federazione europea, entrambe volte a contrastare l’internazionalismo bolscevico?
L’idea di Europa viene da lontano ed ebbe illustri precursori, da Kant a Mazzini a Saint Simon a Cattaneo. Con la forza ci provò a realizzarla Napoleone come poi ci provò Hitler. Ma è proprio dalla guerra, dalla “grande guerra” che sorse in Europa la consapevolezza che occorreva guardare avanti per evitare tragedie come quella che aveva dilaniato e distrutto nazioni e popoli, innestando guerre civili e rivoluzioni in mezza Europa. Già durante la guerra si originò un dibattito che coinvolse movimenti di opinione, ma anche i governi. Si capì, come lo capirono gli stessi giovani che avevano combattuto nelle trincee, che bisognava intervenire per evitare la fine di una cultura e di una intera civiltà. Paradossalmente molti avevano compreso, si pensi allo storico olandese Johan Huizinga, che il nazionalismo era stata la causa dell’imbarbarimento dell’Europa e della tragedia della guerra. Eppure, proprio la guerra aveva acceso ancor di più le spinte nazionaliste e le aspettative sociali che si identificarono con la rivoluzione bolscevica in Russia. Non a caso nei famosi 14 punti del progetto di pace presentato dal presidente americano Wilson, vero vincitore della guerra, si parlava di disarmo, di democrazia, di costituzione di una Società delle Nazioni ma anche di autodeterminazione nazionale per quei popoli che sino a prima della guerra erano dominati da imperi multinazionali e multietnici
Il primo Congresso Paneuropeo – su iniziativa di Paneuropa creata dal Conte Kalergi- si svolse a Vienna, il 4 ottobre 1926, con la presenza di oltre duemila partecipanti da 24 nazioni con il fior fiore dell’intellettualità europea, da Albert Einstein a a Thomas Mann, da Sigmund Freud a Rainer Maria Rilke, Miguel de Unamuno, Salvador de Madariaga, Ortega y Gasset, Denis de Rougemont. Francesco Saverio Nitti fa parte della presidenza del Congresso. Ma sessuno interviene dall’Italia, dice Kalergi perché gli italiani “di fronte al movimento europeistico.. si mostravano sempre indifferenti”, nonostante l’invito rivolto a Mussolini. Ma quale era l’atteggiamento degli oppositori del regime rispetto alla prospettiva paneuropea, dai socialisti riformisti ai liberali ai popolari?
La storia è ricca di paradossi che dimostrano quanto siano semplicistiche e fallaci le spiegazioni lineari. Si parla di “guerra dei trent’anni” per spiegare il fatto che proprio dalle conclusioni della grande guerra, e dai trattati di pace, sorsero quei demoni che produssero le ideologie totalitarie del comunismo, del fascismo e del nazismo e che, nello stesso tempo, provocarono il fallimento della Società delle Nazioni e poi sfociarono nella seconda guerra mondiale. L’idea che la pace potesse essere garantita da una Società delle Nazioni governata dalla politica e dal dialogo fra le nazioni, così come i generosi ideali di creare una organizzazione federale dell’Europa, che per ultimo nutrì lo stesso Carlo Rosselli, si infransero nelle spinte violente che generarono una sorta di guerra civile europea, di cui la guerra civile spagnola fu una manifestazione clamorosa. La rivoluzione russa creò il prototipo del partito armato per la conquista del potere. Altri seguirono quel modello, da Mussolini sino ad Hitler. Fu in un certo senso la premessa di quello che è stato definito il secolo delle “ideologie assassine”. Ideologie di destra e di sinistra ma armate e totalitarie. Tanti progetti di una Europa diversa, come quelle di Thomas Mann, che nel suo “Avvertissement à l’Europe” (1937) , parlò di humanisme militant per salvare l’Europa o di Ortega y Gasset che parlava di uno stato generale europeo o di Gaston Riou o di Carlo Rosselli che con Giustizia e Libertà non solo si proponeva di combattere il fascismo ma di creare una unità dell’Europa sulla base di quei grandi valori che venivano dal profondo della cultura politica europea, impersonata dai liberali democratici, ma anche dai socialisti riformisti come Turati furono schiacciati dalla forza dei totalitarismi contrapposti. Persino le idee realistiche del conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, che aveva messo in guardia l’Europa dalle nuove potenze che si delineavano nello scenario mondiale, dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica sino al Giappone, si scontrarono con i contrasti fra le nazioni europee che la pace non aveva sanato ma addirittura rinfocolato.
Nel 1930 il socialista Aristide Briand, eminente politico francese, presentò un Progetto di Unione federale europea all’Assemblea della Società delle Nazioni: su questo si pronunciarono le forze politiche antifasciste ormai emigrate all’estero? O qualcuno degli intellettuali rimasti in Italia?
Lo si vede con l’appassionato discorso del ministro degli esteri francese Aristide Briand alla Società delle Nazioni. Discorso che nel 1928 portò al patto Briand-Kellogg per il bando della guerra come mezzo per la soluzione dei conflitti internazionali. Ad esso aderirono una sessantina di stati e persino gli stati Uniti e la Russia. Tutto sembrava possibile ma poi l’avvento di Hitler e la guerra civile spagnola accelerarono il processo che portò allo scoppio della seconda guerra mondiale. In realtà la grande crisi del 1929 ebbe ripercussioni in ogni parte del mondo ed in Europa favorì la stabilizzazione del fascismo e l’ascesa di Hitler in Germania. Fino ad allora persino un vecchio saggio come Filippo Turati, simbolo della sconfitta del socialismo riformista, accusato di socialfascismo dai comunisti, ma costretto a morire in esilio dal regime fascista, ammonì l’Europa ad unirsi ed a seguire il modello federale americano anche per affrontare la sfida che si profilava in Asia, cioè “il pericolo giallo”. Negli anni trenta, però, questi ideali si dovettero confrontare con i venti di guerra su cui soffiavano le potenze totalitarie. Purtroppo, come scrisse Carlo Rosselli nel 1935, non si era riusciti a portare gli ideali europeisti e democratici fra le masse dei vari paesi europei. Nei regimi liberal-democratici si sottovalutava il problema di fermare l’ascesa dei regimi totalitari e si temeva il bisogno di pace delle masse. La ricerca di compromessi con le dittature, come si comprese troppo tardi, poteva favorire i dittatori. Il sogno di Hitler di unificare l’Europa con la forza, come sappiamo, finì in una tragedia ancora più grande di quella della “grande guerra” e nella idea criminale dello sterminio delle “razze inferiori”.
L’Italia è un paese aggressore nel quale, negli anni di guerra favorevoli per l’Asse, prima di Stalingrado e del dramma dell’ARMIR, si dibatte degli assetti futuri dell’Europa: nel 1942 a maggio a Pisa si tiene un grande «Convegno per lo studio dei problemi dell’ordine nuovo»: qui Giovanni Demaria afferma che i pensasse ad un grande «mercato europeo unico» contro ogni chiusura nell’autosufficienza autarchica, che solo valeva per il tempo di guerra. Non è una lucida prefigurazione di quello che effettivamente, fuor dell’utopia, si è realizzato nel dopoguerra?
Nel 1941, come era accaduto nel 1917, la guerra “cambiò verso”. Finì il patto di “spartizione” Ribbentrop Molotov, Hitler attaccò l’URSS e gli USA intervennero in guerra dopo l’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor. Con l’intervento americano si definirono anche i contenuti ideologici dell’Alleanza che prese forma nel 1941 per fermare l’avanzata minacciosa della Germania e dell’Italia, unite nell’asse con il Giappone, che aveva raggiunto la sua massima espansione in Europa, in Africa e in Asia sino a minacciare l’India e l’Australia. Nell’agosto del 1941 Roosvelt e Churchill firmarono la Carta Atlantica dove si fissavano le linee del nuovo ordine democratico per un “mondo migliore” da costruire dopo la fine della guerra: diritto di ogni popolo a scegliere la forma di governo, libertà di commercio, libertà dei mari, rinuncia all’uso della forza nei rapporti fra gli stati e relazioni internazionale basate sulla sicurezza e la cooperazione. Il primo gennaio 1942 ben 26 governi, fra cui l’Unione Sovietica di Stalin, aderiscono alla Carta Atlantica, dove si faceva menzione delle Nazioni Unite. Si può capire che nel maggio 1942 a Pisa si sia tenuto un convegno per lo studio dei problemi dell’Ordine nuovo e un economista della Bocconi come Giovanni De Maria poteva pensare già ad un “mercato unico europeo”, ma certo nessuno poteva quale sarebbe stato, a fine guerra, l’”ordine nuovo” e addirittura un “mercato europeo unico”. Visto che proprio l’Europa sarebbe diventata l’oggetto di divisione fra le due potenze alleate contro Hitler e Mussolini, ma con assetti politici ed ideologici contrastanti, come gli USA e l’URSS. Ancor prima della fine della guerra la Resistenza contro l’occupazione nazifascista fece sentire la sua voce anche se l’idea di unità europea rimase minoritaria.
Ma quale fu l’atteggiamento della Resistenza, delle risorte formazioni politiche in Italia sui progetti d’Europa?
La componente comunista in Francia come in Italia, benché contro il nazionalismo, era contrari all’idea d’Europa. In Francia erano, semmai, i socialisti che facevano professione di europeismo, che rimaneva un’idea vaga anche se presente in molti paesi che avevano subito l’occupazione nazifascista come il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo. Spesso chi aspirava al federalismo europeo voleva anche il federalismo all’interno, in casa propria. Non c’è dubbio che, come ha scritto Giuseppe Mammarella che insieme con Paolo Cacace ci ha dato una ricostruzione generale della storia dell’Unione Europea molto solida (Roma-Bari, Laterza, 2009) di tutti i movimenti della Resistenza quello italiano ci ha lasciato ricco di spunti e principi come il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Nel 1941 tutti e tre erano al confino nell’isola laziale e tutti e tre erano convinti che la catastrofe europea e mondiale era dovuta agli eccessi della concezione della “sovranità assoluta” degli stati-nazione e dei regimi totalitari. Solo un assetto integralmente avrebbe potuto superare la conflittualità e la guerra fra gli stati nazione. Questa concezione fu fatta propria dal Partito d’Azione, il battagliero partito antifascista, in parte erede della tradizione rosselliana, che non riuscì mai ad avere vaste adesioni popolari. Furono gli azionisti nel gennaio 1943 ad esporre nel giornale clandestino “ L’Italia libera” i sette punti di un programma per la federazione europea. Come aveva intuito Carlo Rosselli il problema era quello di creare una coscienza europea fra le masse popolari e questo non era facile senza l’impegno dei grandi partiti di massa, la Dc il PSI ed il PCI, che di federalismo non ne voleva sapere. Anzi, con la fine della guerra, si manifestarono subito quelle divisioni della “guerra fredda” che non solo spaccarono l’Europa con la “cortina di ferro” ma spaccarono le stesse forze antifasciste. Furono i governi e uomini di governo dei paesi europei non occupati dall’Armata Rossa a fondare concretamente il processo di costruzione della Nuova Europa.
Gino Di Ciocco
Grazie Professore
l’utilità sociale della tua visione e la capacità di comunicarla è imperdibile!
Un abbraccio ed un immenso augurio di un arrivederci in presenza.
Cap (cpll) Di Ciocco dr Gino
Via dei Della Robbia, 81
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