Nel profluvio di libri usciti di recente per celebrare il trentennale di Mani Pulite, ne vorrei segnalare uno in particolare (Simona Colarizi, Passatopresente, Editori Laterza), che si distingue perché l’autrice, storica di professione, fa appunto un’analisi storica del fenomeno, cercandone le premesse e le cause a partire dagli anni Settanta. Per la Colarizi, dunque, l’inchiesta giudiziaria del celebre pool milanese è vero sì che partì con l’arresto di Mario Chiesa in quel febbraio 1992, ma il fatto che ebbe conseguenze tanto devastanti sull’intero sistema politico-partitico – al punto da mettere fine a quella che viene conosciuta come Prima Repubblica – si può spiegare solo analizzando il contesto più ampio, il clima culturale dell’epoca; e capendo che, oltre ai Pm di Mani Pulite, entrarono in gioco altri attori che fecero loro da sponda e da cassa di risonanza.
E chi altri poteva diffondere e amplificare la portata delle inchieste giudiziarie in quegli anni se non i media? Non solo i grandi quotidiani come la Repubblica, il Corriere della Sera, la Stampa e, ovviamente, l’Unità che si schierarono apertamente sul fronte giustizialista e raccontarono le imprese di Di Pietro, Davigo e Colombo facendone eroi popolari; ma soprattutto la televisione che, durante gli anni Ottanta, era diventato il mass medium più determinante nell’orientare le opinioni (e i consumi) degli italiani.
Stiamo parlando di programmi della televisione pubblica, come” Samarcanda” di Santoro e “Profondo Nord” condotto da Gad Lerner, che accendevano la miccia dell’antipolitica direttamente nelle piazze delle città; e persino di programmi che andavano in onda sulle televisioni di Berlusconi: basterebbe citare “Mezzogiorno italiano”, in onda su Italia 1, dove Gianfranco Funari insceneva veri e propri processi contro la corruzione.
Tutto questo – spiega Simona Colarizi – aveva negli anni contribuito a creare il “mito devastante” della società civile buona da un lato, e dall’altro della classe politica corrotta e collusa con la criminalità organizzata.
Ma bisogna tornare ancora più indietro per capire come nasce Mani Pulite e su cosa fondava la sua straordinaria potenza di fuoco. A metà degli anni Settanta c’era già stata una Tangetopoli: quando la Lockeed Corporation ammise di aver pagato tangenti a politici e militari di alcuni Stati, tra cui l’Italia che aveva acquistato aerei da trasporto per l’Aeronautica Militare. Lo scandalo si trasformò subito in un processo politico contro la DC ed ebbe come conseguenza addirittura le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
E’ così che prende forza il filone di pensiero di quanti vogliono rifondare il sistema facendo leva sulla “questione morale” e le “mani pulite”: di questa nuova corrente Enrico Berlinguer, segretario del PCI, è certamente l’esponente più autorevole, in quanto ammantato da un’aura di nobiltà e di purezza; e diventa il capostipite di una serie di moralizzatori (ma la storia italiana, in verità, ne aveva conosciuti altri nel passato, a partire da Girolamo Savonarola) che continuerà con i suoi successori e seguaci Natta e Occhetto, in particolare quest’ultimo, i quali vedranno nella giustizia e in chi la amministra l’unica possibilità per scardinare il vecchio sistema basato sul predominio della DC e dei suoi alleati (tra cui la “nuova destra” rappresentata dall’odiato PSI di Bettino Craxi).
Non serve dilungarsi sui metodi di indagine utilizzati dal pool di Milano, che sono ormai noti a tutti e che portarono ad arresti preventivi, perquisizioni non sempre autorizzate, interrogatori miranti ad estorcere confessioni, e finanche a numerosi suicidi tra gli indagati. Ci basti ricordare l’arresto del capo ufficio-stampa della DC, Enzo Carra: venne trascinato in manette dal carcere verso il tribunale e deliberatamente mostrato così alle telecamere e ai fotografi, nonché al pubblico (la società civile!) che urlava e lo ricopriva di insulti.
E’ giusto ricordare l’episodio di Carra (un ex giornalista diventato portavoce di Forlani e, quindi, senza nessuna capacità di ricevere o gestire il flusso delle tangenti), perché fu allora che la politica ebbe un sussulto, l’ultimo prima di arrendersi allo tsunami giustizialista: il ministro della Giustizia Conso, in accordo con il premier Giuliano Amato, preparò un decreto legge per depenalizzare il finanziamento illecito dei partiti che sarebbe stato punito solo con misure amministrative e pecuniare. Nonostante il fatto che persino Massimo D’Alema e l’allora direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli mostrassero una certa apertura e toni concilianti, l’intervento tranchant di tutto il pool di Milano, che definì il decreto Conso una “autoassoluzione” -concetto subito ripreso ed amplificato nella trasmissione di Santoro e dagli osannatori dell’eroico Di Pietro-, pose fine alla questione.
Il Presidente Scalfaro, sull’onda delle proteste e della marea giustizialista che continuava a salire, si rifiutò di firmare il decreto del Governo; e Amato di lì a poco, nell’aprile del 1993, si dimise dalla guida del Governo.
All’incirca un mese prima Giulio Andreotti era stato iscritto nel registro degli indagati per i reati di associazione a delinquere semplice e di tipo mafioso. E quando il 30 aprile la Camera dei deputati respinge l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, la sera stessa, l’ex segretario del Psi, uscendo dall’Hotel Raphael, viene praticamente assalito da una folla inferocita (ancora la società civile), che ricorda le scene manzoniane e i “dagli all’untore”.
La slavina scendeva a valle con tutta la sua carica distruttiva. Ma era partita molto prima, con i toni gentili e accattivanti dei moralizzatori berlingueriani, le cui parole d’ordine erano poi state riprese con altri toni dai tribuni del popolo e star televisive, che così andavano spianando la strada ai Pm di Milano e delle altre procure.
La conta dei morti e dei feriti lasciati sul campo dal passaggio della slavina giustizialista ( G.Verga li chiamerebbe “i vinti”) deve essere, però, continuamente aggiornata, fino ai giorni nostri. Ed è per tutti questi, da Enzo Tortora, Gabriele Cagliari, Sergio Moroni, Enzo Carra, fino ai più recenti casi come quello di Giancarlo Pittelli, che sarà veramente necessario votare Sì al quesito referendario sull’uso della carcerazione preventiva: per impedire che in futuro si continui a chiudere in carcere persone innocenti.
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