I nodi vengono al pettine. La frenetica composizione delle liste e le contestuali trattative sulle alleanze in vista delle elezioni del 25 settembre mettono a nudo la crisi di un intero sistema politico. Le varie riforme o modifiche culminate nell’attuale Rosatellum erano state concepite per spingere almeno verso uno stabilizzante organizzato bipolarismo. Ma gradualmente sono state adattate geografia dei collegi e modalità di calcolo dei voti a una volontà di sopravvivenza di partiti che hanno perso compattezza e struttura, e non hanno affrontato con coraggio l’obiettivo di basi programmatiche solide per dar vita a egemonie coagulanti. Così oggi si assiste, di fronte a un netto rafforzamento della destra , oltre le divisioni delle parti in commedia, a uno sfarinamento che può creare grossi rischi per la qualità democratica del sistema e generare conflitti non lievi. Si doveva capire, e molti l’avevano certo compreso, che col ridurre il numero dei collegi — la Toscana perde una ventina di eletti — occorreva ripensare l’architettura della legge e non cadere in una demagogica trappola matematica per timore di impopolarità. Si è ceduto a un semplificante populismo estraneo a logiche di merito e a opzioni etiche. Se le destre puntano a far cappotto nei collegi maggioritari e conquistare un’affermazione schiacciante, più arruffata è la matassa da sciogliere per l’area di centrosinistra, frammentata in partiti di vario spessore e di elevata litigiosità.
Il paradosso è che si è scatenata una corsa a un centro immaginario, sulla scia delle critiche alla caduta del governo Draghi, la cui consistenza in termini di consensi è tutta da verificare. Uno scenario che crea grossi problemi al Pd. L’idea di Enrico Letta di costruire una carovana di taglio ulivista, cioè un «campo largo» comprensivo di soggetti disparati e talvolta ostili l’uno all’altro, si è rivelata incapace di resistere alla stretta. Aver dato credito a Conte e al M5s è stato un errore. Ora che fare? Il rischio è rifugiarsi in una pratica di neofrontista: una raccolta sotto unica sigla, «Democratici e Progressisti» per esempio, di posizioni differenziate al punto da render poco decifrabile la via. Stare insieme oggi per vincere, e poi come governare? Se si vuol svolgere un duello democratico nell’interesse di tutti la strada da prendere passa da un programma serio e poi da candidature affidabili. Tra un centrismo riformatore e una sinistra che abbia fatto i conti con la storia anche sul piano internazionale una convergenza è più prossima e concretizzabile di ieri, magari aperta a partiti numericamente più piccoli se consapevoli del loro spazio. Sfumature a sfondo territoriale o giustificati risentimenti personalizzati vanno messi nel cassetto. Come non si può tematizzare le scontro che già divampa nella classica opposizione fascismo-antifascismo. E non perché non sussistano corposi elementi di vetusto conio in frange apertamente reazionarie, ma perché le risposte oggi richieste riguardano il presente e un futuro quanto mai incerto. Il momento drammatico della storia d’Italia e del mondo esige concretezza e incisività, credibilità. Non si tratta neppure di ancorarsi a una per molti misteriosa «agenda Draghi». Pure in una regione forte come la Toscana inquietudini e insicurezze hanno preso il sopravvento su andamenti e consuetudini che le tempeste della globalizzazione e le atrocità delle guerre hanno spazzato via. I tempi stretti fanno avvertire più urgente un confronto civile, che non assegni il primato alle ambizioni personali, alle furbizie e alla difesa dei propri bacini di potere.
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