Per molti decenni, hanno pensato gli americani a difendere la cultura occidentale. Ora non più. Il ritiro dall’Afghanistan ne è stata una chiara dichiarazione di volontà in tal senso. E allora il mondo è cambiato, definitivamente.
I dittatori, cosa fanno per conservare il loro potere? Prima di tutto tolgono i diritti di libertà ai propri cittadini, trasformandoli in sudditi. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, di riunione e associazione, di creazione di associazioni politiche e sindacali, di scegliere i propri rappresentanti politici. Negando questi diritti, i dittatori schiacciano il dissenso alla radice, impedendo che sobbolla e trovi un canale per eruttare la sua lava incandescente su di loro e sui loro oligarchi.
Putin l’ha fatto, e come se l’ha fatto. Solo per ultimo basta pensare alle migliaia di arresti che sta compiendo in questi giorni a fronte di un timido e pacifico tentativo di manifestare il dissenso da parte del popolo russo contro la violenta aggressione dell’Ucraina decisa dal dittatore, in gelida solitudine.
Una Russia accerchiata dalla NATO proprio non la vedo. Chi legge così la situazione odierna, forse ha dimenticato da troppo tempo di cambiare le lenti ai suoi occhiali. E legge lo scenario odierno con le categorie di quando era giovane. Forse lo fa per pigrizia, o per nostalgia, nel tentativo di semplificare lo scenario e trovare conforto alle proprie credenze. O forse lo fa perché, sotto tanta cenere, arde ancora la fiamma rossa dell’appartenenza all’ideologia comunista a lungo incarnata da quella parte di immenso territorio allora chiamato URSS.
È umano, ma oggi può essere molto fuorviante. Ma perché mai, mi chiedo, Putin dovrebbe temere la NATO quando i suoi migliori e più fedeli clienti hanno scelleratamente – Italia e Germania in primis – accettato una condizione di dipendenza dalla Russia. Quel gas che fornisce l’energia per scaldare le case e innerva il tessuto produttivo, alimentando la nostra economia, ce lo fornisce lui. Senza energia tutto si ferma. Dipendiamo da un monopolista mondiale del gas che ragiona secondo gli schemi novecenteschi, è a capo di una potenza nucleare ed ha instaurato un regime autarchico dove è in grado di zittire tutti. Abbiamo fatto harakiri. Grazie ad un malinteso ambientalismo all’italiana, abbiamo scientemente costruito questa sudditanza energetica da quelle terre dominate – da oltre vent’anni – dal dittatore disumano che oggi si manifesta al mondo in tuo il suo delirio di onnipotenza.
I suoi oligarchi finanziano l’industria del turismo in Italia, finanziano la Champions e sono proprietari del Chelsea. Come si può pensare che in una così fitta rete di rapporti commerciali Putin temesse la NATO?
L’Unione Europea, quella sì che fa paura al dittatore. Quell’unione, nata come Comunità economica europea, anch’essa puntando sul potere degli interessi comuni, rappresentati prima dall’energia e poi da tutto il resto. Un territorio libero da barriere interne, una società aperta al mondo, dove i diritti umani sono garantiti da istituzioni liberamente elette e, contemporaneamente, arricchita dal grande valore di uno stato sociale del benessere, basato su solidarietà e pari dignità sociale. Lo sappiamo che non è un paradiso e che molta strada la UE deve ancora compierla. Ma la sua condizione attuale è comunque quella di culla delle libertà che il dittatore vede come fumo negli occhi. La prima legge del dittatore è il mantenimento del potere, del suo potere. Perché il dittatore si identifica con lo Stato. Lo Stato coincide con la sua persona.
E Putin non può rischiare che il suo popolo di sudditi sia così ammaliato dal canto delle sirene europee da rivoltarglisi contro.
La UE incarna un modello di società infinitamente più attrattivo del suo. Rappresenta lo sforzo, per quanto zoppo e talvolta maldestro, di convivere in pace, riuscendoci.
Ora la Ue ci deve credere più che mai, nei suoi valori, nella giustezza del cammino compiuto. Ha trovato compattezza per affrontare la pandemia, per affrontarla uniti. Ha riavviato il processo d’integrazione fermo ormai da un ventennio. Ha deciso di affrontare insieme anche la ripartenza delle economie nazionali post-covid – soprattutto la nostra – scegliendo con coraggio una via inesplorata. Quella del deficit spending del bilancio UE.
Anche questa sfida bellica ha fin qui compattato i paesi europei, concordi nell’affermare che la via diplomatica dovesse essere supportata dalla netta risposta con sanzioni economiche, per fiaccare l’invasore e dare concreto sostegno all’aggredito, anche inviando armi.
Ora viene la fase più dura: andare avanti integrando le forze anche sul fronte della politica estera e della difesa comune, della politica energetica comune, del governo dei flussi migratori – milioni di profughi in più dall’Ucraina – comuni.
Sapranno i cittadini europei comprendere e sostenere queste scelte politiche che la Commissione europea potrebbe assumere?
Riusciranno a cambiare le lenti ai propri occhiali e metterne di aggiornate alle sfide globali del terzo millennio?
Mi auguro di sì.
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