A fronte della globalizzazione e delle sue implicazioni, tutte le democrazie europee, ma vale in particolare per l’Italia, si trovano a dovere scegliere fra modelli sociali e economici alternativi: società aperta/società chiusa, per quanto riguarda l’assetto sociale; riformismo liberal/statalismo, per quanto attiene all’economia. Qualia suo parere le ricette giuste?
Ovviamente società aperta e riformismo liberal. Tuttavia, il modo e gli strumenti con cui si perseguono questi obiettivi devono essere aggiornati ad una situazione del tutto mutata rispetto a quando questi principi sono stati formulati dai grandi pensatori. Per rimanere a casa nostra, Luigi Einaudi nell’immediato dopo guerra sosteneva che l’isolamento e il sovranismo portano ben presto un paese alla rovina. Per cui il benessere è legato allo sviluppo degli scambi internazionali, alla promozione del concorrenza e alla libertà di impresa. Robert Lucas, il grande economista americano, sosteneva nella sua Nobel lecture nel 1996 “….il potenziale di miglioramento della vita dei più poveri attraverso i differenti strumenti di redistribuzione non è niente rispetto al potenziale apparentemente infinito dell’aumento della produzione”. Ecco, ora queste due posizione, per quanto ancora valide, vanno qualificate. La globalizzazione dell’ultimo trentennio ha lasciato un numero di “perdenti” inconcepibile ai tempi di Einaudi e Lucas. Adesso i riformisti liberal devono farsi carico di delle situazioni estreme che si manifestano, anche con un accorto intervento pubblico di redistribuzione. Ma con una spesa pubblica che rasenta la metà del PIL come non è stato possibile studiare accorgimenti adeguati? I governi di centro sinistra hanno tardato a percepire il problema (vedi il ritardo del Reddito di inclusione).
Quale ruolo può o deve giocare l’Europa nel nuovo scenario?
L’Europa è stata la più grande innovazione istituzionale del 900 ma è mancata, per un difetto di leadership, nel provvedere ai nuovi scenari. Se si ripercorre la storia della grande crisi 2008-2014, dal tardivo intervento in Grecia, l’asimmetria di atteggiamenti di fronte agli interventi di salvataggio delle banche, il comportamento dei “furbetti” paesi del sud Europa (basta l’esempio delle clausole di salvaguardia….) è tutto un campionario di errori, di egoismi e di diffidenza. Qualcosa sta cambiando: i progetti di nuova governance economica vanno nella giusta direzione, anche se l’incombente crescita dei populisti toglie slancio alle proposte e depotenzia i leader più responsabili.
La sconfitta referendaria del governo Renzi ha mandato in soffitta il tema delle riforme istituzionali. Ma il nostro Paese può permettersi di accantonare il problema se vuole tornare a crescere?
In questi giorni si sperimenta come il comportamento scellerato del governo che umilia e by-passa il Parlamento non sarebbe stato possibile con un bicameralismo imperfetto. Continuo a pensare che solo andando verso un sistema maggioritario si potrebbe evitare la sciagura di avere un Presidente del Consiglio come Conte, che non è niente e non rappresenta niente. Ma le prospettive sono pessime.
Lascia un commento