Quando si parla di circuiti mediatico-giudiziari, di bavaglio alla stampa, di giustizialismi e giornalismi manettari converrebbe sempre ricordare la vicenda di Antonio Cariglia, una delle tante della storia repubblicana, emblematica anche ai giorni nostri.
Cariglia, chi era costui? La Fondazione Filippo Turati ne celebra in questi giorni il centenario della nascita. Nomi che alle giovani generazioni dicono forse poco se non nulla, perciò vale ricordare che Turati, comasco, fu tra i primi e più importanti leader del socialismo italiano, morto nel ’32 a Parigi esule antifascista. Cariglia ne è stato a suo modo il continuatore: socialista riformista, quattro volte deputato, un turno da senatore, tre da parlamentare europeo.
Una carriera prestigiosa, dunque, durante la quale ha dato vita a numerose belle iniziative, tra cui, appunto, la Fondazione Turati (1965), un ente socio-sanitario onlus dedicato all’assistenza (hospice, case di riposo, residenze assistite), con varie sedi tuttora assai attive tra cui Vieste, la città originaria della famiglia, che nel ’35 si trasferì a Pistoia quando il padre fu promosso capo dei vigili urbani.
Il socialismo del dopoguerra, alle cui battaglie Cariglia ha partecipato, non fu troppo diverso da quello scissionista e rissoso degli esordi. Né da quello di oggi. Litigi perenni, protagonismi, frazionismi (come allora si diceva), che stanno al dna della sinistra come le leggi della gravità all’universo. A noi tocca un PD radicale grazie alle mattane di Elly Schlein, erede dei comunisti che conducevano le danze settant’anni fa, sempre col sogno della rivoluzione proletaria. I socialisti erano invece nel marasma come già dalla belle époque. Se i massimalisti di Pietro Nenni (Psi) preferirono ballare col Pci, i riformisti di Giuseppe Saragat rovesciarono il tavolo confluendo nel Psdi, il Partito socialdemocratico, contrarissimo al progetto di passare da una dittatura nera a una rossa.
Fu la scissione di Palazzo Barberini, 1947. L’idea era di realizzare pacificamente il socialismo nella libertà, di introdurre nel sistema democratico riforme decisive per la vita delle classi subalterne, ma restando in Occidente. Cariglia aderì. Era stato attivista antifascista e partigiano libertario. La scelta fu facile.
Non sto a ricordare tutte le tappe della sua carriera. Basta dire che fu prima sindacalista e che, in seguito, da consigliere comunale di Pistoia lanciò anche un prestigioso progetto di case popolari Iacp, per la città e il territorio, che oggi gestisce migliaia di alloggi.
Il cursus honorum continuò ininterrotto fino alla segreteria del Psdi che Cariglia mantenne dal 1988 al ‘92. Mario Melloni, il celebre corsivista dell’Unità più noto col nome de plume Fortebraccio, lo onorò con uno dei suoi corsivi più fulminanti con la tipica spocchia moralista del Pci, mentre l’Unione Sovietica si stava disgregando: “L’auto si fermò, la portiera si aprì e non scese nessuno. Era Cariglia”. In realtà Cariglia era un qualcuno che trattava da protagonista governi locali e nazionali.
Venne però il ’92 con Tangentopoli e l’inchiesta Mani Pulite. Cariglia fu coinvolto con accuse pesantissime: concussione, ricettazione, finanziamenti illeciti. Titoli a nove colonne. Carriera finita. L’imputato fu però tra i pochi a rinunciare all’immunità parlamentare e alla prescrizione. Voleva essere assolto nel merito. E l’assoluzione arrivò, piena, totale, anche se solo dopo dodici anni. Ne dette notizia il Corriere della Sera il 5 giugno 2005. Per l’accusa titoloni strillati in prima pagina, ora un sobrio articoletto nascosto a pagina 17.
Titolo: “Tangenti, scagionato Cariglia”. Poi poche righe: “E’ stato processato per concussione e violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Ha rinunciato a suo incarico, ha rifiutato la prescrizione per ottenere una sentenza di assoluzione. E adesso, uscito indenne da tutti i procedimenti giudiziari, l’Onorevole Antonio Cariglia, segretario del Psdi all’epoca di Tangentopoli, chiede soltanto che “si renda nota la conclusione delle mie vicende come atto dovuto alla mia persona e al mio comportamento’”.
Quanti avranno letto quel trafiletto? Gli altri giornali non fecero meglio. Il galantuomo Cariglia è poi morto a Pistoia il 20 febbraio 2010. Nel centenario della nascita, dei quotidiani toscani ha pubblicato qualche riga la Nazione, ma solo in seguito al convegno della Fondazione Turati. Zero Corriere di Firenze e Repubblica. Zero il Corriere della Sera. Quale morale trarne? Di quale giornalismo parliamo?
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