“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, così nel 1965 si esprimeva lo scrittore svizzero Max Frisch, per descrivere l’atteggiamento diffuso in molti paesi europei (Germania, Austria, Olanda e Svizzera) che osservando l’arrivo di greci, spagnoli, italiani e jugoslavi, si sorpresero nel vedere come questi cittadini fossero riusciti a integrarsi così bene all’interno delle loro società.
Visione troppo romantica e legata ad un passato che non esiste più? Forse, ma allora come leggere il contributo così forte che ancor oggi negli Stati Uniti apportano alcune comunità straniere? (fanno scuola le recenti storie di accoglienza di cittadini ucraini in Nord Dakota, l’energia della comunità venezuelana nello Utah o il gran numero di vivaci etnie che a New York popolano Jackson Heights).
Che i futuri protagonisti del sogno americano possano essere loro non è un caso spaventi e agiti così tanto Trump e i suoi sostenitori, preoccupati dal tema della grande sostituzione della popolazione locale con quella immigrata.
Senza necessità di andare oltre oceano, si tratta di preoccupazioni presenti anche in Europa (Lollobrigida goffamente docet) alimentate da politici poco lungimiranti e molto miopi.
Proverò quindi a evidenziare uno dei problemi che attanaglia l’Europa e a individuare subito dopo una possibile strada da percorrere per affrontarlo.
1) il problema demografico e il suo impatto sul lavoro
L’Unione Europea dovrà affrontare al più presto la questione demografica non fosse altro che per il suo impatto sul tema del lavoro.
Devono, infatti, destare attenzione le previsioni diffuse dalla Commissione UE secondo cui la popolazione lavorativa in Europa, diminuirà da 265 milioni nel 2022 a 258 milioni nel 2030 e potrebbe addirittura scendere a 220 milioni nel 2050.
2) una strada da percorrere
La questione demografica non si risolve solo affrontando il tema attraverso l’immigrazione (esistono anche altri ambiti di intervento) ma in questa sede mi limiterò a questa possibile area di intervento.
Le politiche di accoglienza da organizzare, del resto, servono non solo per rispondere alle sempre più numerose difficoltà delle imprese di reperire lavoratori in tanti settori dell’economia europea, ma anche per attenuare la riduzione delle nascite.
3) il modello in Europa c’è
Timothy Garton Ash, nel suo recente saggio “Patrie”, ricorda come già agli albori dell’Unione Europea, nel 1956, il cancelliere tedesco Konrad Adenauer (cercasi politici di questo spessore) offrisse biglietti ferroviari gratis a lavoratori provenienti dall’Italia. Ancora una volta una visione romantica e superata dai tempi odierni?
Sembra di no, visto che la Germania è uno dei paesi europei che negli ultimi anni, accogliendo in modo strutturato e con sguardo rivolto anche alle politiche del lavoro più immigrati è riuscita ad invertire la tendenza demografica negativa.
Fomentare paure, fermarsi allo slogan di non voler essere un continente di immigrati quando gli elenchi telefonici delle città europee dicono già il contrario, non basta e non sarà sufficiente a risolvere il problema.
Tener conto di questo potrebbe essere utile quando tra pochi mesi si voterà alle elezioni per il Parlamento Europeo.
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