Papa Francesco ha rilasciato un’intervista alla TV Svizzera che sarà trasmessa il prossimo 20 marzo. Alcune agenzie ne hanno anticipato il testo che viene pubblicato integralmente dai siti on line vaticani. Da questi abbiamo ripreso le prime domande sulla guerra in Ucraina e in medio-oriente. Il Papa propone di fatto la resa dell’Ucraina e la conseguente annessione alla Russia del territorio che Putin ha occupato, ad iniziare dal 2014. Anche se il Pontefice è certamente mosso da principi umanitari, evitare cioè altri lutti, la sua affermazione è di una gravità inaudita perché viola il principio base del diritto internazionale per il quale non si possono modificare con la forza i confini dei paesi indipendenti. Una norma che fu scritta per non legittimare la legge del più forte e assicurare così la pace. Ieri Hitler, oggi Putin contano proprio sul fatto che nei paesi democratici passi ad un certo punto la stanchezza per il prezzo che si deve pagare per difendere la libertà e per assicurarsi una pace vera, non soggetta a ricatti e alla minaccia dell’uso della forza. Le dittature non hanno nessun rispetto del valore delle persone. Sono pronte a sacrificarle per perseguire i loro vaneggianti sogni di gloria. Il leader di Hamas Yahya Sinwar ha più volte detto che una Palestina dal fiume al mare (locuzione che significa la distruzione di Israele) ha bisogno “del sangue delle donne e dei bambini palestinesi”.
Anche sulla situazione nel medio-oriente le “irresponsabilità” delle due parti, che certamente ci sono, non sono paragonabili. C’è chi ha aggredito e chi si difende. Sempre che il Pontefice, ma non crediamo sia questo il pensiero di Francesco, non consideri un’aggressione al popolo palestinese la stessa esistenza dello Stato di Israele.
Molto meglio allora avrebbe fatto il Papa a chiedere certamente l’avvio immediato di negoziati di pace ma previo il ritiro delle truppe russe dai territori ucraini occupati e, per il medio-oriente, previo il rilascio degli ostaggi.
Come trovare una bussola per orientarsi su quanto sta accadendo fra Israele e Palestina?
«Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la “guerra-guerrigliera”, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa».
Però non bisogna perdere la speranza di provare a mediare?
«Guardiamo la storia, le guerre che noi abbiamo vissuto, tutte finiscono con l’accordo».
In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?
«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».
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