La gestione caotica dell’armistizio con gli alleati e la fuga del re a Bari vengono ricordati come un vile abbandono del popolo e dell’esercito senza un ordine di resistere. Ma cosa avrebbe significato, siamo nel what if, un re prigioniero dei tedeschi invece di un sovrano comunque debole ma che assicurava una legittimazione istituzionale al nuovo governo Badoglio? in fondo Haakon VII di Norvegia aveva lasciato il paese e diretto la resistenza da Londra.
Non si può fare storia con i se, ma si può cercare di ricostruire le dinamiche storiche anche con i se, , se non altro per capire meglio i contesti e in questo caso le speranze e le attese, ma anche lo stato della guerra nella sua dimensione più vasta. Non c’è dubbio, ad esempio, che l’avanzata degli alleati dopo lo sbarco in Sicilia fu lento, non solo per la forte resistenza tedesca. Sulla linea Gustav, ma alla fine perché lo sbarco in Normandia assorbì ingenti forze alleate. L’avanzata verso il cuore della Germania fu ritenuta prioritaria, visto che da Est avanzava velocemente l’Armata rossa su Berlino.
Bisogna guardare al contesto anche per capire perché le guerre si vincono o si perdono anche con la tenuta o il tracollo del fronte interno, specialmente le guerre mondiali che, sia la prima che la seconda, durano a lungo e mettono a dura prova non solo le truppe e le forze sui fronti militari, soprattutto il fronte interno sottoposto alla fame, alle sofferenze, alle attese e alle paure.
Nel caso italiano si parla sempre degli scioperi del 1943 (Torino, Milano, Firenze) ma in realtà gli scricchiolii del fronte interno si cominciano a sentire già da prima. La mancanza di pane, i razionamenti e poi il delinearsi della sconfitta in Russia, furono le premesse per gli scioperi del ’43. Del resto, già nella primavera del 1942 le donne operaie a Forlì prima e a Firenze poi, si pensi alle tabaccaie, inscenarono manifestazioni di protesta. La resistenza di Stalingrado e poi il disastro della ritirata esaltarono lo spirito antifascista della classe operaia.
Nel febbraio del ’43, all’arrivo della notizia della rotta di Stalingrado, nelle fabbriche iniziò l’agitazione: Viareggio, Palermo, Varese poi il 5 marzo Torino, il 9 marzo Asti, Alessandria, Vercelli il 22 marzo Milano. Persino gli industriali prendono le distanze dal regime e poi molti si schierano dalla parte degli alleati e addirittura, come gli Agnelli, prendono contatto con gli antifascisti.
Semmai furono i partiti antifascisti, ricostituiti clandestinamente, che ancora non erano in grado di muoversi e organizzarsi per guidare la protesta, largamente spontanea. Nel Sud poi la presenza antifascista era quasi inesistente.
Radio Londra incitava gli italiani ad abbattere il fascismo ma in alto come in basso dominava un sentimento profondo: la paura. Dopo il crollo del fronte africano, le bombe alleate al Sud e poi nelle città sembravano far capire che la guerra era persa, ma il sentimento più diffuso era ancora e soprattutto la paura e .. la fame., poi i lutti, le sofferenze, la desolazione.
Nel maggio-giugno del ’43, quando cadde Tunisi, gli alleati occuparono Lampedusa e Pantelleria e poi bombardarono Messina, Trapani, Marsala, Palermo.
Sotto le bombe e con il tracollo della Sicilia crollò anche il mito del Duce. Più cresceva la paura e l’ira contro il Duce, responsabile primo della guerra, più cresceva la paura anche fra i quadri del Partito fascista. Invano il fascismo si affidò ad un nuovo segretario, Carlo Scorza, considerato duro e puro, e minaccioso. Persino Mussolini si accorse che era inutile fare il volto feroce e che sarebbe stato opportuno tentare una resa italiana, ma temeva la reazione di Hitler.
Ormai da più parti si premeva affinché la monarchia riassumesse in pieno i suoi poteri. I protagonisti del 25 luglio da tempo si muovevano per la “pace separata” con gli alleati. Maria Jose prendeva contatto con la diplomazia angloamericana ; il Papa già a Natale del 1942 aveva condannato la dittatura; lo Stato Maggiore aspettava gli ordini del Re, formalmente capo delle forze armate. Persino nell’esercito il grosso dei soldati e degli ufficiali erano ormai contro il Duce e aspettavano una iniziativa di Vittorio Emanuele II: Che, invece, rinviava. Il rinvio non è solo segno di prudenza e il tipico tratto del sovrano.
Il Re temeva rappresaglie del fascismo e, più ancora, dei tedeschi. Su questo non gli si può dar torto. Hitler, anche dopo la seduta del Gran Consiglio, faceva paura al Re e a tutti, compreso Mussolini. In più il Re temeva la piazza, la ferocia del popolo e dei lavoratori, ormai orientati verso il mito stalinista.
In realtà, ogni giorno che passava sempre più “la gente” riteneva anche il Re responsabile del disastro e della tragedia della guerra. Dopo il bombardamento alleato su Roma, l’avversione alla monarchia si fece sempre più forte.
Il Re in luglio, sperando in una rapida offensiva degli alleati, manovrava per il “colpo di stato” che avrebbe restituito il consenso alla monarchia e permesso la liquidazione di Mussolini.
Grandi, autore e interprete della riunione del Gran Consiglio, pensava che la fine di Mussolini dovesse essere contestuale al cambiamento di fronte.
Gli Alleati avevano sempre affermato di essere in guerra non contro l’Italia ma contro Mussolini e il fascismo. Eliminati questi “ostacoli” L’Italia poteva allearsi, mi si consenta il bisticcio, con gli Alleati contro i tedeschi.
Tanto più con un Re come Vittorio Emanuele III, che non era propenso alle decisioni ardite e che, infine, temeva la reazione dei tedeschi e delle masse. Da qui la gestione caotica, per non dire penosa, dell’Armistizio.
Senza chiari ordini per il comportamento dei soldati sui diversi fronti che invece si ritrovarono i soldati tedeschi pronti ad aggredirli con la rabbia di agire contro gli “italiani traditori”. Ben seicentomila soldati italiani finirono nei campi di concentramento, trattati come forza lavoro da sfruttare. Più di 42 mila non ritornarono a casa. Si pensi che per sarebbe bastato sottoscrivere un atto di fedeltà alla Repubblica sociale italiana, lo stato fantoccio creato dai tedeschi dopo la liberazione di Mussolini per non finire internati. Forse questi soldati furono, insieme ai partigiani, i veri “eroi” che nella tragedia trovarono il coraggio di una scelta. E le scelte, come si sa, in frangenti drammatici, sono tutte difficili.
Il Re fece la scelta più coerente con il suo carattere. Abbandonò Roma e “fuggì” al Sud. Pur tuttavia non salvò la monarchia, perché, nonostante i brogli gli italiani votarono sulla forma dello stato e scelsero la repubblica e poi trovarono il metodo giusto per darsi una costituzione: l’elezione diretta di una Assemblea costituente.
La Costituzione che ne scaturì non era forse la “costituzione più bella del mondo” , ma sicuramente conteneva buoni e solidi principi per fare dell’Italia un paese democratico
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