È sicuramente da apprezzare il lavoro svolto da Zeffiro Ciuffoletti con il suo ampio saggio introduttivo che precede l’antologia di interventi e discorsi di Bettino Craxi durante il periodo in cui fu alla guida del PSI, curata da Edoardo Tabasso e promossa dalla Fondazione F. Turati (Craxi. Le riforme e la governabilità 1976-1993, Lucia Pugliese Editore – Il Pozzo di Micene, Firenze 2019). Da apprezzare perché è il lavoro svolto da uno storico con il metodo proprio della ricerca storica, lasciandosi alle spalle l’atteggiamento che è stato fino ad oggi prevalente tra chi si è occupato della figura del leader socialista, oscillante tra la difesa d’ufficio, spinta talvolta fino all’incensamento più servile, e l’ostilità preconcetta, non di rado esasperata fino alla demonizzazione. In questo senso è appropriato il titolo del paragrafo che apre il saggio – “Dalla demonizzazione alla storia” – anche se non va dimenticato l’altro atteggiamento, presente soprattutto nel periodo in cui Craxi era sulla cresta dell’onda ma vivo ancora tra chi si nutre più di nostalgia e di rimpianti che di volontà di conoscenza e di riflessione.
Un lavoro di ricerca storica, ma al tempo stesso un intervento carico di passione civile, che emerge soprattutto nella quarta e ultima parte del saggio – “Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica. Un bilancio difficile” – aprendo la quale lo stesso Ciuffoletti avverte quanto sia difficile la storicizzazione di eventi che hanno condizionato e ancora condizionano la vita del nostro Paese (“La storicizzazione di ‘Mani pulite’ non sarà facile, perché il peso del giustizialismo è ancora più forte che mai. Diciamo che si è appena cominciato a ripensare a ‘Mani pulite’ senza più l’alone eroico mitico di un tempo. Per questo, come si è detto, bisognerà ripensare la figura e l’opera di Bettino Craxi con la serietà e l’obiettività che merita”). Un programma di lavoro, quindi, e un invito ai giovani storici a cimentarsi in una riflessione sulle origini della crisi del sistema politico nel quale viviamo. E’ questa onestà intellettuale che dà forza alla ricostruzione storica compiuta da Ciuffoletti nelle prime tre parti del saggio, quelle per le quali la storicizzazione è ormai possibile, quelle che ci portano dagli anni di piombo al periodo nel quale Craxi conquistò la direzione del partito, per culminare con la lunga fase – finora la più lunga nella storia d’Italia – nella quale lo statista milanese ebbe la guida del Governo.
Il lettore ripercorrerà il filo che guidò l’azione di Craxi dal momento in cui – in maniera quasi fortunosa – riuscì a farsi eleggere segretario del partito in quel Comitato centrale svoltosi al Midas nel luglio 1976, divenuto quasi mitico nelle narrazioni dei protagonisti – fino alla fase finale quando, con il crollo del sistema comunista, sembrò che il leader socialista avesse finalmente vinto la lunga partita che lo aveva opposto all’antagonista storico, il PCI. Come questo non avvenne e come, quasi con un lancio di dadi, l’esito della partita si rovesciò, concludendo una vicenda che in realtà durava dal gennaio del 1921, con la sconfitta di entrambi i contendenti e anzi con la distruzione, anche fisica, di uno dei due, è appunto oggetto dell’ultima parte del saggio, quella sulla quale, come abbiamo detto, la riflessione è ancora aperta.
È possibile individuare gli aspetti di coerenza di un percorso durato più di un quindicennio? Dalla ricerca di Ciuffoletti la coerenza emerge nitidamente, pur nella complessità degli eventi narrati. In Craxi fu costante la ricerca di una riforma del sistema politico che consentisse alla società italiana – che egli considerava ricca di potenzialità economiche e civili – di esprimersi pienamente, superando tutte le pastoie e gli impedimenti costituiti proprio da un sistema politico obsoleto. La storia del quindicennio è intessuta in gran parte dalle resistenze che il tentativo riformatore incontrò, resistenze che provenivano non solo dal partito che nel lungo dopoguerra aveva costantemente rappresentato la cultura più conservatrice – la DC – ma anche e soprattutto da sinistra, da quel PCI che rivelò nella vicenda un’anima forse ancora più conservatrice, ricevendo in questa resistenza l’appoggio della maggioranza dell’establishment economico e culturale italiano.
Rivista con l’occhio dello storico – che non è propriamente quello del senno di poi – si potrebbe pensare che l’esito del tentativo fosse scontato in partenza, data la disparità delle forze in campo, alle quali va aggiunta un’altra difficoltà, che Ciuffoletti si cura di sottolineare, di essere leader di un partito fondamentalmente debole, nutrito di una cultura politica non adeguata agli obiettivi che Craxi voleva raggiungere. E tuttavia, nonostante tutto, perché l’esito del tentativo di Craxi fosse quello che poi fu, fu necessario l’intervento di fattori che, per usare una metafora sportiva, non facevano parte, a rigore, delle regole del gioco: quelle forze che hanno trovato la loro sintesi nell’efficace espressione di circo mediatico giudiziario.
La storia del quindicennio craxiano può essere perciò sintetizzata in un’efficace espressione giornalistica, quella del duello a sinistra. Un duello che Craxi affrontò con piglio e determinazione, senza i complessi di inferiorità che avevano caratterizzato quasi tutti i leader socialisti precedenti. Un duello nel quale seppe far valere con efficacia – all’interno e sul piano internazionale – le ragioni del socialismo democratico contrapposte a quelle di un comunismo autoritario che, salvo poche eccezioni, rifiutava di riformarsi.
Ma, oltre che di rigorose contrapposizioni, il duello fu caratterizzato anche, in alcuni casi, da una sorta di concorrenza a sinistra, che fu affrontata da Craxi cercando di muoversi sullo stesso terreno del PCI, sostenendo tesi simili a quelle dei comunisti, nella speranza (in realtà, nell’illusione) che tale modus operandi potesse far acquisire consensi tra la base comunista., o, forse, facilitare un dialogo con la leadership del PCI.
Vari sono stati i campi nei quali si è sviluppata la concorrenza a sinistra, ma il più evidente è quello della politica verso i cosiddetti movimenti di liberazione nazionale, in particolare nei confronti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. In quel campo Craxi mostrò i limiti della sua cultura politica e un cedimento di fronte a tematiche terzomondiste difficilmente comprensibile, anche se va detto che tale cedimento fu condiviso anche da buona parte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei.
Nel testo di Ciuffoletti e nella raccolta di documenti curata da Tabasso è citato l’episodio dell’Achille Lauro e di Sigonella, rubricato sotto la singolare voce “Ragion di Stato”. Ma quello dell’Achille Lauro e di Sigonella non fu affatto un episodio: fu il momento più visibile di una politica coerente che aveva al suo centro l’appoggio incondizionato ai movimenti palestinesi e in particolare all’OLP e al suo leader Yasser Arafat, col quale Craxi si incontrò più volte. Craxi volle assimilare l’OLP ai movimenti di liberazione nazionale che si erano battuti per l’indipendenza dei Paesi africani e asiatici sottoposti al dominio coloniale; ma non volle vedere che la lotta dell’OLP non era condotta contro un Paese colonialista ma contro lo Stato d’Israele, che il PSI aveva costantemente sostenuto, salvo il periodo di assoggettamento al PCI. In questo travisamento della realtà Craxi giunse perfino ad accostare il movimento palestinese al Risorgimento italiano, mostrando in ciò tutti i limiti della sua cultura politica. Craxi non si rese conto che l’obiettivo dell’OLP non era quello di far nascere uno Stato palestinese accanto a quello ebraico, ma di distruggere quest’ultimo attraverso l’uso di mezzi terroristici. Se è vero che la strategia dell’OLP è apparsa in tutta la sua chiarezza dopo il fallimento del vertice di Camp David del 2000 e l’appoggio dato a Saddam Hussein quando quest’ultimo lanciò i missili Scud contro le città israeliane, è anche vero che l’uso del terrore e il programma della distruzione dello Stato d’Israele erano iscritti nello statuto dell’OLP fino alla vigilia degli accordi di Oslo.
Quanto il cedimento alle tematiche terzomondiste e in definitiva alla stessa politica del PCI influenzi il giudizio complessivo su Bettino Craxi dipende dal peso che si vuol attribuire nel contesto politico italiano alle scelte di politica internazionale e in particolare a quelle che riguardano il Medio Oriente.
Valentino Baldacci
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