Nella Basilica di Santa Giustina a Padova, davanti a mille persone silenziose e affrante, mentre fuori ce n’erano otto o forse novemila, Gino Cecchettin, padre amorevole di Giulia, ci ha fatto capire quello che noi genitori maschi dovremmo essere: padri autorevoli. Perché si può essere insieme amorevole ed autorevole, si può amare incondizionatamente i propri figli e al tempo stesso non rinunciare al nostro ruolo che è di grande responsabilità e richiede innanzitutto saggezza, poi fermezza di carattere, capacità di ascolto e di critica, comprensione e moderazione, saper parlare e non gridare, stabilire le regole e non ordinare.
Che lui fosse un padre amorevole e autorevole l’avevamo capito da subito, fin dalle sue prime dichiarazioni in pubblico, quando non strillava contro il brutale assassino della figlia, né chiedeva ai giudici la massima pena (e certamente tutti noi lo avremmo appoggiato), ma si limitava con quel tono pacato della voce e la dolcissima cadenza veneta a indicare la necessità di un cambiamento radicale e culturale: a spostare, cioè, la sua tragedia familiare su un piano più ampio che coinvolga tutta la nostra società, dove i femminicidi si contano a decine ogni anno. A toccare così il vero tema, che è l’educazione e che certo non deve escludere il “castigo”, come Dostoevskij ci spiegò in uno dei suoi capolavori. L’educazione è il compito di entrambi i genitori, ovviamente, ma nella figura del padre deve trovare il suo fondamento; per poi proseguire nella scuola, dove si ripropone ancora il problema dell’autorevolezza, degli insegnanti in questo caso.
Quello di Gino Cecchetin è stato un discorso che si potrebbe persino definire “politico” o civile, se si preferisce; perché analizza il fenomeno, universalizza la tragedia, coinvolge tutti e ci chiama direttamente a scendere in campo, come è successo davanti al sagrato di Santa Giustina dove c’erano tanti uomini e ragazzi, padri, fratelli, mariti e compagni, oltre che le donne.
“A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte… perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso”: mi sembra che siano queste le sue parole che esprimono al meglio in cosa deve consistere il compito di chiunque abbia a che fare con i giovani oggi, genitori o insegnanti che siano. Forse sarò troppo ottimista, ma la mia impressione è che la rivoluzione culturale sia iniziata l’altro giorno al funerale di Giulia Cecchettin e che Gino Cecchettin ne sia, involontariamente, il profeta.
Sergio Giusti
Provo anch’io grande rispetto e, sotto gli aspetti che lei comprende, consenso riguarso al comportamento avuto dal papà di Giulia nella grave, insostenibile per un genitore, vicenda che ha riguardato la sua famiglia e l’intera comunità.
Allo stesso tempo ritengo che la confusione sei ruoli non serva quasi mai alla causa, che di volta in volta, si presenta.
La disgrazia capitata avrebbe potuto essere rappresentata in maniera più efficace se fosse stato un “padre e basta” a parlare di un omicidio efferato, inaccettabile e perché no? per il quale un genitore può reclamare vendetta.
La politica la facciano i politici e l’educazione le scuole.
Dico questo è concludo sottolineando come ridurre i femminicidi a un problema culturale (che pure c’è) serva a diminuire le responsabilità personali che devono rimanere prevalenti.