Nessuna denuncia di violenza contro le donne ha senso se non misurata su quella del 7 di novembre contro le donne israeliane. Oppure, si è antisemiti. Non solo chi l’ha vista neifilm girati dai terroristi stessi lo sa, come me, ma anche chiunque veda la tv o abbia un po’ di buon senso. Oppure, si è antisemiti. I terroristi di Hamas si sono autofilmati mentre violentano, strappano le vesti, trascinano per i capelli, caricano sulle macchine vive e morte donne spogliate nella parte inferiore del corpo sanguinante.
Alla morgue dove i resti delle donne uccise venivano ricomposti a centinaia spesso solo per parti recuperabili dalle mutilazioni e dal rogo, spesso le gambe erano fratturate e irrecuperabili a causa delle violenze. Bambine, vecchie e anche bambini piccolissimi sono stati violentati, hanno verificato i dottori: dopo tentativi difficili per raccogliere le prove dei fatti, anche i DNA dei violentatori sono stati ricuperati. Una sopravvissuta dalla festa dove sono state uccise più di trecento giovani che ballavano, ha testimoniato di una sua amica brutalizzata da diversi, tenuta ferma per i capelli; l’ultimo le ha sparato in testa e dopo ha continuato fino a che ha finito il suo atto sessuale. Una ragazza è stata mutilata dei seni coi quali i terroristi hanno giocato. Il footage che abbiamo visto mostra molte ragazze morte, svestite, sanguinante. Ma che razza di esseri umani sono le donne che non protestano?
Il femminismo ha sempre albergato una tarantola nel suo guscio, fin da quando negli anni settanta con un gruppo di amiche fondammo la rivista “Rosa”, sofisticata, intelligente, certo di sinistra. Io ero stata comunista, avevo perfino scritto un libretto sulla storia delle donne comuniste: il mio femminismo, molto primigenio, istintivo, di famiglia, pure non poteva fare a meno della catena della rivoluzione, di Rosa Luxemburg, del diritto al lavoro. Poi venne il corpo, l’aborto, il divorzio, l’autocoscienza: eppure restava l’indispensabile intersezione con le grandi radunate internazionali, terzomondiste, sovietiche! Che già sbattevano le donne israeliane fuori dai loro incontri. Donne meravigliose, che avevano affrontato come eroine la maternità e la guerra, la zappa, la scienza, la poesia. La libertà! Donne senza soggezione verso gli uomini nel loro valoroso ritorno a casa, Israele, un simbolo non certo di colonizzazione, ma di decolonizzazione dalle grandi potenze. Per saperlo, bisogna studiare un po’ di storia.
Ma il femminismo già soffriva allora dell’enorme soggezione al movimento comunista, aveva bisogno della sua approvazione e delle sue bandiere. Quindi una volta che esso ha sanzionato lo Stato d’Israele, l’unico che garantisse l’uguaglianza dei sessi in tutto il Medio Oriente, il femminismo si è associato nella gran parte appiccicando etichette fasulle, coloniale, imperiale, capitalista, apartheid… il femminismo si è allineato. Adesso la femminista si è evoluta, è intersezionale, woke, pronta a sacrificarsi alla violenza di Hamas, perché gli “oppressori” sono bianchi, cristiani o ebrei: non importa se proprio loro salvano gli lgbtq dagli “oppressi” che li appendono ai lampioni; e non importa se Hamas, da loro difeso, impone alle bambine matrimoni con adulti pedofili, protegge e anzi ordina gli stupri, le botte, i rapimenti. È provato dalle loro stesse testimonianze dopo la strage. Il divorzio fra il femminismo e i diritti umani si è concluso da tempo: dopo quello che hanno patito le donne in Iran all’ ONU gli Ayatollah presiedono la commissione per i diritti umani e non risulta che il movimento abbia sussurrato.
Adesso siamo all’antisemitismo: peggiore, disperante direi, è che non si sia levata dalle manifestazioni italiane una voce sullo stupro di massa unito al femminicidio seriale che il 7 di ottobre ha travolto donne, bambine, anziane, mentre i loro cari, 1400, venivano uno ad uno trucidati. Perché avete rapito i bambini e le bambine, ha chiesto la polizia ai terroristi catturati. “per violentarli” hanno risposto. Maschilismo? Violenza? No, caccia alle ebree imperialiste e coloniali. Uccidiamole.
(questo articolo, già pubblicato da Il Giornale, è ripreso con il consenso dell’autrice)
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