Mi unisce al direttore di “Solo riformisti” un’antica stima, come succede a chi-pur pensandola spesso in maniera diversa- ha sempre avuto in comune il rifiuto delle parole d’ordine tranquillizzanti, specie sulle cose che per tanta parte della vita ci hanno coinvolto e appassionato.
Per questo ho accolto di buon grado l’invito di Luciano Pallini a intervenire nel dibattito che la sua rivista ha aperto sull’eterna questione dell’area Firenze-Prato- Pistoia, scrollandomi per una volta dalla posizione, che ormai sento più mia, dell’osservatore distante, anche se non distaccato.
E poi quel nome, Solo Riformisti, mi sembra una sfida un po’ “guascona”, e quindi interessante, in un’epoca i cui quasi tutti si dicono riformisti, anche quelli che – a sinistra- nella pratica testimoniano il contrario e rifiutano a priori qualsiasi cambio di paradigma, culturale e politico.
Invece è di domande scomode che il nostro territorio avrebbe più che mai bisogno, quelle che sono state troppo spesso rimosse perché non inquadrabili negli angusti spazi del politicamentecorretto, figlio di quel “pensiero debole” che è stato uno dei marchi negativi degli ultimi due o tre decenni.
Ora che il panorama politico regionale è più frastagliato e mette in crisi le antiche certezze e lapigrizia mentale che ne è derivata, è lecito augurarsi che prenda fiato, da tutte le parti, una riflessione meno scontata ed autocelebrativa, non più cristallizzata su pochi temi d ipluridecennale incubazione, eletti a simbolo del destino futuro di Firenze e della Toscana centrale.
Questa autoreferenzialità della politica, spesso alimentata dallo spirito conservativo di quella parte della società che fa opinione, finisce per lasciare in secondo piano i cambiamenti complessi, e sempre problematici ,che hanno già segnato profondamente una realtà sociale ed economica come la nostra, apparentemente forte delle sue antiche certezze.
Portare allo scoperto tutto questo significa scrivere un’altra agenda di priorità, prendere coscienza delle enormi contraddizioni nascoste dietro l’angolo e confrontarsi con un territorio-quello della cosiddetta Area Vasta di Firenze, Prato, Pistoia- che vede incrinarsi la propria storica coesione sociale di fronte a fenomeni nuovi e colpevolmente sottovalutati.
Questi aspetti si possono sottacere, ma negarne l’esistenza equivale ad una fuga dalle proprie responsabilità.
Lo hanno ricordato nei giorni scorsi i quindici parroci di Rifredi con una lettera accorata sulle condizioni di insicurezza del quartiere, per chiedere non solo controlli, ma progetti strutturali e di lungo periodo per le tante persone che si trovano ai margini e che delinquono.
Accogliere, non lo si dirà mai abbastanza, è cosa ben diversa da integrare. Accanto alla Firenze baciata (e stravolta) dal turismo di massa e abbandonata dai residenti sia per le crescenti difficoltà di viverci , sia per per le suggestioni della rendita legata agli affitti brevi, c’è un’altra Firenze, ed un ‘ ampia fascia del territorio appena al di là dei viali, verso la Piana, alle prese con fragilità e incertezze finora ignote dalle nostre parti.
Per moltissime famiglie ed aziende e per molti territori svantaggiati, sulle difficoltà esistenti andranno ora a gravare anche le conseguenze dei drammatici eventi alluvionali.
Se poi si volesse capire davvero cosa è successo in questi anni nell’area pratese, quanto complessi e stravolgenti siano stati i cambiamenti che hanno portato alla colonizzazione economica di una parte non trascurabile di quel distretto , si resterebbe increduli di fronte al ruolo marginale che questi processi epocali hanno avuto nelle politiche locali e regionali.
Silenzi e sottovalutazioni durati molto a lungo, a cui solo da poco sta faticosamente subentrando una più diffusa consapevolezza del fatto che non basta il buonismo- spesso interessato – a darealla nuova realtà che si è determinata una prospettiva nel rispetto delle re gole, che pur bisogna darle.
Non certo -sia chiaro-per incidere sul corso dei processi economici legati alla mondializzazione dell’economia, ma almeno per sottrarne gli effetti alla nefasta volatilità della concorrenza sleale e del sommerso, che sono volano di distorsioni ed illegalità nelle aziende e sul territorio.
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Ho voluto con questi cenni sottolineare che l’area centrale della Toscana si trova a fronteggiare sfide nuove e molto impegnative senza avere risolto , se non in modo molto parziale, i nodi problematici che da sempre l’ affliggono.
Le infrastrutture, il trasporto, la mobilità pubblica e privata sono da sempre il primo capitolo in queste analisi . la tranvia ha migliorato le condizioni sulla direttrice di Scandicci, ma da Prato o da Pistoia raggiungere il centro di Firenze in molte ore del giorno è un’avventura, qualunque mezzo si usi ; nelle ore serali, un’impresa a cui si preferisce rinunciare.
Storditi dai discorsi – spesso molto sensati-sulla sostenibilità, sulla tutela ambientale, sull’emergenza climatica, sulla mobilità dolce e alternativa, sulla protezione della fauna e dellearee umide, si resta colpiti (ma non troppo sorpresi) dai dati Ispra sul consumo di suolo nella Piana, anche nelle aree più congestionate. I nuovi grandi parchi sono in pratica di là da venire, alcuni di quelli storici non sono di tranquilla frequentazione per il pubblico, mentre spuntano nuovi cantieri su aree mai edificate prima, magari a stretto contatto con grandi volumi produttivi da anni dismessi ed in attesa di totale ristrutturazione. Per non parlare, quando l’emergenza è ancora aperta, ma sarà inevitabile farlo, delle casse di espansione mai realizzate e del ruolo svolto dai Consorzi di bonifica.
Al di là dei discorsi e delle formule della bella politica, la sensazione è che alla fine ogni Comune abbia fatto, o abbia politicamente ottenuto di fare, ciò che più stava a cuore, al di fuori di una vera visione d’insieme che coordinasse in modo equilibrato gli interventi, la distribuzione dei servizi, il sistema delle infrastrutture, l’assetto idrogeologico, la rete dei servizi pubblici locali, delle infrastrutture museali e culturali e così via dicendo.
Un piccolo esempio per spiegarsi meglio: quando a Prato iniziò l’esperienza del Museo Pecci per l’arte contemporanea, con forte slancio sostenuto dalle risorse pubbliche, passò poco tempo prima che anche Firenze – ovviamente con ben altro “appeal”- avvertisse l’esigenza di dare vita ad una qualificata attività nello stesso comparto, come se potessero convivere due musei di arte contemporanea a dieci chilometri di distanza l’uno dall’altro.
La Regione benedì e sostenne finanziariamente entrambe le iniziative , ma quella del Pecci (giusta o sbagliata che fosse) si trovò presto in difficoltà , a dispetto del tanto denaro pubblico investito: uno speco di energie e di risorse, non un grande esempio di coordinamento nell’Area Vasta della Toscana centrale.
Detto questo, si deve pur riconoscere che non è facile coordinare realtà locali che di dialogare e coordinarsi non hanno molta voglia. Spesso gli amministratori hanno trovato più politicamente redditizio accarezzare gli umori dei contrapposti campanili che indirizzarli verso soluzioni di più ampio respiro e di maggiore interesse.
La storia pesa e nessuno può sottovalutare gli aspetti anche positivi di questo sentimento di forte appartenenza locale. Se bene indirizzato, si tratta di un valore civile di cui menare vanto.
Ma se subentra qua e là la tentazione di strumentalizzare in modo semplicistico certi sentimenti popolari, allora il rischio del provincialismo è dietro l’angolo ed ogni decisione complessa diventa un rompicapo.
Lo spazio della cooperazione di Area Vasta nel disegno voluto dalla Regione Toscana è estremamente ampio e riguarda i più diversi ambiti di programmazione.
Il panorama dei vecchi problemi e delle nuove sfide dimostra che si sono accresciute le distanze e le differenze di opportunità di vita e di sviluppo tra le aree e i settori dove il motore economico è dato dalla rendita, rispetto a quelli esposti alle sfide della competitività sul mercato globale.
Così come, accanto ad aree di intenso sviluppo (si pensi a Barberino e al Mugello), coesistono territori di antica vocazione manifatturiera (è l’esempio della Val di Bisenzio) condannati all’isolamento da un livello di infrastrutture e di servizi praticamente fermo agli anni in cui sulle rive del fiume nacque il primo nucleo del tessile pratese
Si torna così alle domande scomode del punto di partenza: il concetto di Area Vasta è stato tanto discusso, quanto disatteso e contraddetto nei fatti.
L’Area Vasta non è una istituzione, non fu pensata come una “creatura” vera e propria , ma come uno spazio di iniziativa da costruire per attivare la sinergia tra tre province, tra cui la Cittàmetropolitana di Firenze.
Obiettivo problematico, questo va detto,ed è l’unica attenuante che si può dare alla sostanziale mancanza dei risultati attesi.
Oggi la necessità di un salto di qualità è nelle cose: se una visione d’insieme non si afferma nella concretezza delle scelte realizzate, diventa incombente il rischio che si aggravino e si cristallizzino squilibri sociali, economici e territoriali di cui già si registrano i primi negativi effetti: sarebbe questa la negazione di uno dei punti di forza più importanti che la Toscana ha ricevuto dal suo glorioso passato.
Alberto Magnolfi
Pratese, avvocato, ha avuto nella politica la passione della vita. Formatosi nel riformismo craxiano, è stato per quasi vent’anni , a partire dalla metà degli anni ’70, uno degli uomini di puntadel PSI in Toscana. Dirigente politico con incarichi regionali e nazionali, è stato amministratore del suo Comune e della Regione, occupandosi soprattutto delle tematiche economiche , del territorio e delle infrastrutture. Dal suo impegno sul Piano dei Trasporti negli anni Ottanta, contenente proposte fortemente innovative, prese avvio un ampio dibattito che coinvolse largamente la società toscana. Avvicinatosi a Forza Italia, fu rieletto nel 2005 in Consiglio regionale , ove poi rivestì il ruolo di capogruppo dell’opposizione. Dal 2015 osserva dall’esterno la politica, ma dedica un rinnovato impegno alla professione di avvocato, che alla soglia degli ottant’anni gli riempie positivamente le giornate.
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