L’immigrazione planetaria è un cambiamento epocale, inarrestabile, inarginabile. Lo si sa ma si fa finta di nulla, prima di tutto per limiti cognitivi. come quando ci chiedono di pensare all’infinito, stiamo lì qualche secondo e poi torniamo a giocare a bocce, ché ci sentiamo più al sicuro. Ora, per gestire quella grande trasformazione ci sono due approcci etici (e due gestioni pratiche; stesso discorso: se si guarda all’etica ci accechiamo): “accogliamoli tutti” vs “ciascuno a casa sua, dunque prima i nostri concittadini”. Se si rimane a questo livello, è la guerra civile e internazionale, la violenza, la morte data e ricevuta.
Si badi bene. Non è che questo momento di “fuoco” non abbia le sue ragioni. Credo che in parte ora serva, perché qui oggi – in Italia, in Europa e nel mondo – siamo nella condizione di dover riscrivere i principi della convivenza, e la Storia insegna che per farlo occorre del “sangue”. Io ne ho paura ma so che solo avendone possiamo stare solo pochi minuti a contatto di quel calore insopportabile, evitando così di ardere e di morire. Fuor di metafora: è bene che la gente percepisca che alla fine di quella strada si rischia di rischiare la vita: i globalisti accoglienti così come i sovranisti xenofobi. Sinora i primi si sono detti più ragionevoli dei secondi e i secondi li hanno tacciati di buonismo. È bene che anche i secondi comprendano che la loro intolleranza, fatto massimo sistema, non passerà, e che ci sarà dolore. Nella foschia della guerra civile, il corpo di chiunque può finire obbrobriosamente appeso in una piazza a testa in giù. Obbrobriosamente: ripugna. Ma su quel piano, le leggi degli uomini non valgono più, perché quello è il momento in cui quelle leggi ordinarie trovano la loro legittimazione di parte: della parte del vincitore.
Bisogna allora scendere di livello. Bisogna scivolare sul piano più pragmatico. Che tuttavia non è indipendente dal primo. Quelle due visioni, addomesticate, danno senso alle posizioni che si giocano più sotto. Ma bisogna essere coerenti: se si parte dal “prima la nostra comunità, gli altri stiano a casa loro”, si deve aver il coraggio di sostenere che, alla prima imbarcazione all’orizzonte, si va e la si siluri, l’affondi, costi – in termini di morti – quanto debba costare. È inutile e patetico razionalizzare a posteriori, con facili posizioni quali “… ma l’ONU dove sta? …”; “… Noi non siamo razzisti ma…”; “… Le leggi ordinarie vanno rispettate…” (lo si vada a dire agli 8.000 musulmani di Srebrenica, trucidati in pochi giorni dai serbi che applicavano ordini legali e leggi del proprio Paese), e ancora “… la Rackete ha messo a rischio la vita dei Finanzieri…” (accecati da quel “sole” detto sopra, anche un canotto sarebbe creduto una nave da guerra.
La stessa cosa succede se si parte dall’altro estremo ideologico. Ieri, per radio, ho sentito una giovane manifestante dire che in Italia gli immigrati servono perché sanno fare cose genuine e ancora in linea con la purezza della Natura che noi bianchi europei abbiamo ormai perso. Per cui – concludeva – “l’Europa bianca è morta, apriamo le frontiere e chiediamo cosa i migranti sanno fare e possono insegnarci”. Ebbene, un’irresponsabile tanto quanto Salvini (va be’, lui è Ministro dell’Interno, lei una povera ingenua. Ma questa è un’altra storia). Anche da questo lato bisogna essere coerenti: “in nome dell’Umanità, si attenti alla vita dei governanti e dei bianchi zombie nostrani”. Come si vede, violenza + violenza = violenza.
La pragmatica che ripara dal calore è allora un’altra, e il suo spazio è quello che non solo si estende fra quei due confini estremi ma nel quale ci si muove sapendoli alle spalle ma dando anche loro le spalle. Chi muove con quella ragionevole praticità, se è uno qualunque, non fa il primo passo, sulla questione di questi giorni, iniziando col dire che “la Capitana è solo una figlia di papà viziata, un fenomeno da baraccone mediatico”; oppure non si perde in sghignazzi di fronte alla rabbia di chi vota Lega. In entrambi i casi, è roba di pancia, è impulso, è semplicemente stupido. L’atteggiamento più saggio, compiutamente politico, riconosce piuttosto che non uno straccio di prova è stato trovato a conferma dell’accusa alle ONG di essere trafficanti di uomini, e ammette che se una 31enne – che per quasi un mese è stata costretta a vagare per il mare con cinquanta esseri umani sotto sua responsabilità a bordo– se alla fine decide, dopo aver espletato tutte le procedure (ma lo si è letto il dispositivo con cui il GIP di Agrigento l’ha prosciolta dall’accusa di minaccia alla sicurezza nazionale? – di disobbedire agli ordini , ebbene non è perché le sta antipatico Salvini e perché vuol umiliare gli Italiani ma perché chiamata a agire in conformità al Diritto Internazionale, che lo stesso nostro paese ha sottoscritto e al quale è tenuto. Così come, chi è animato di quella medesima “saggezza Politica” non scherza sulle possibili conseguenze che l’insorgere di un tale precedente, in questa vicenda, potrebbe avere.
La sole cose che rimangono da fare sono almeno due.
La prima è riconoscere il diritto delle persone – in un mondo sempre più complesso e globalizzato – a decidere come vivere e a provare (provare!) e realizzarlo dove vuole. Non sopporto – ai fini dell’accoglienza – la comoda distinzione fra profughi di guerra, profughi per fame, profughi per clima. Perché, se mio figlio – che fortunatamente non ho – sognasse di vivere negli Stati Uniti, dovrebbe avere il diritto di averne l’opportunità e il figlio di un congolese no? E dico “diritto” non perché sia un idealista ma perché so che solo se lo riconosco come tale lo posso politicamente regolamentare. Un diritto non si afferma per la semplice volontà di qualcuno. Un diritto, per sua natura, ha bisogno che venga parlamentato con coloro ai quali si chiede di riconoscerlo, e ciò vuol dire discutere non soltanto i doveri di chi dovrà rispettarlo ma anche quello di colui che alla fine ne godrà. Se si nega il “diritto di aver diritto”, l’escluso ci darà fuoco. E noi proveremo a darlo a lui.
La seconda cosa è emarginare l’élite politica che gioca allo sfascio per solo tornaconto personale di consenso e di potere, si essa chiami Salvini o Orfini. In un’epoca social e informatica come l’attuale – per parafrasare Eco – chi ha il potere di decidere non può essere un imbecille come la legione di imbecilli che lo hanno votato ma deve essere più intelligente, preparato e pragmatico.
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