“Piantatela col merito….La scuola chiede investimenti” Assessore Regione Toscana
“…..e perché no tutte e due?” Mi viene spontaneo rispondere all’Assessore all’Istruzione della regione Toscana, dopo aver letto il suo articolo sull’Unità.
Lasciando da parte i proclami e le ideologie, e non per difendere, in questo scritto, il ministro e il suo operato cerchiamo di camminare coi piedi per terra e parlare di Scuola.
La parola merito, (definita come la somma delle capacità e impegno,), solleva timori e paure in ambito scolastico, ed anche oltre, soprattutto da quando fa parte della denominazione del ministero (Ministero dell’istruzione e del merito). Le critiche provengono da chi crede che la parola merito presupponga ripercussioni negative su quegli studenti più svantaggiati e privi di strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi scolastici. Si teme che porti all’aumento delle disuguaglianze, eppure, l’art. 34 della Costituzione è chiaro: I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi ed al comma 3: La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso.” Un articolo che già presuppone una forma forte di inclusione sociale, proprio a partire dalla scuola dell’obbligo e dalle condizioni economiche di partenza. Ma merito non significa automaticamente prestigio, vantaggio economico e strada spianata, in contrasto a povero, abbandonato dalle istituzioni, lasciato solo, bocciato e senza istruzione; sembra quasi che al concetto di meritevole si contrapponga, forzosamente, quello di non meritevole, fino ad arrivare a considerare quest’ultimo addirittura un’umiliazione e una punizione che condurrebbe dritto alla non promozione. Insomma il merito vien spesso associato a quello che in anni non lontani, veniva chiamata ” selezione di classe”. Il merito non è un dato di fatto ma è una conquista, fa parte di un percorso individuale, diverso per ogni studente e la scuola deve tener conto di questo processo. Ecco dove il merito si fonde con l’equità sociale. I livelli iniziali di partenza di un percorso educativo sono diversi da studente a studente e quindi è evidente che per realizzare una politica scolastica basata sulle pari opportunità, bisogna rinunciare all’utopia dell’uguaglianza. Bisogna invece rivolgersi alla singolarità dello studente, alle sue capacità, e quindi al merito relativamente ad un soggetto ed al suo contesto. È qui che il pensiero di Don Milani sta a pennello: diversi i punti di partenza degli studenti (stato sociale della famiglia, provenienza etnica, titolo di studio dei genitori etc.) diversi gli interventi scolastici da attuare affinché ogni studente raggiunga “il suo merito” cioè il riconoscimento e l’apprezzamento che la scuola dà a chi s’impegna, a chi mostra doti naturali o inclinazioni per questa o quella disciplina. Il fine primario di un processo d’apprendimento soprattutto a livello di istruzione obbligatoria è quello di permettere a ciascun alunno di raggiungere quegli obiettivi culturale e di cittadinanza che sono necessari per l’inclusione nella società.
Perché poi parlare di scuola dell‘uguaglianza contrapposta alla scuola del merito? È pensabile che la scuola, in virtù di un principio di uguaglianza escluda il merito dal proprio orizzonte, quando la valutazione di merito degli studenti e, di conseguenza, i loro differenti e meritati successi o insuccessi sono imposti dalla nostra costituzione? Io parlerei di equità più che di uguaglianza perché l’equità presuppone una pluralità di prospettive e di mezzi e perché include al suo interno la dimensione della differenza. Parlare di uguaglianza, invece, produce l’effetto sfavorevole della uniformità che conduce ad un appiattimento generale degli studenti. Uguaglianza che, annullando le diversità delle prestazioni degli studenti, conduce comunque ad una selezione, quella successiva alla scuola, quella del mercato del lavoro con svantaggio per le famiglie dei meno abbienti.
La punizione più grave che la scuola può dare non è quella del voto o giudizio, sia anche negativo, ma quella di licenziare studenti che non sanno leggere o non comprendono testi, che non conoscono la matematica, che sono senza cultura e quindi senza aspettative. Questa è la vera punizione, questa sì che incide maggiormente sugli studenti svantaggiati, quelli cioè a cui solo la scuola e non la famiglia può dare Cultura.
Bisogna tuttavia riconoscere che la questione del merito non è una procedura semplice perché implica la questione della misurazione e della valutazione sia di chi valuta che di chi è valutato. Se proviamo a ipotizzare scenari futuri, fermo restando che siamo tutti favorevoli a premiare i meritevoli, è necessario pensare ad un sistema palese di valutazione che possa offrire una misura del merito non arbitraria o discrezionale, ma di questo parleremo successivamente.
La nuova proposta del ministro Valditara, secondo le sue dichiarazioni, ha lo scopo di ripristinare la cultura del rispetto, e contribuire ad affermare l’autorevolezza dei docenti dopo i ripetuti atti di violenza riportati dalla stampa. Un messaggio forte riguardo alle conseguenze di azioni gravi dato che il voto in condotta farà media con le altre discipline e di conseguenza potrebbe portare ad una non promozione. Il disegno di legge modifica sostanzialmente il modo in cui il comportamento degli studenti è stato valutato fino ad ora ed il voto nel comportamento assume un ruolo centrale nella valutazione finale. Se il voto è inferiore a 6/10 prevede la non ammissione alla classe successiva o all’esame di stato. È prevista inoltre la possibilità di coinvolgimento in attività di cittadinanza solidale. Il voto avrà ricadute, sia in positivo che in negativo, anche sui crediti per l’ammissione all’esame di maturità. Questa è in sintesi la proposta.
Le scuole dovranno quindi attrezzarsi con modalità di rilevazione e con criteri di valutazione del comportamento per considerare i progressi ed eventuali miglioramenti dello studente nel corso dell’anno.
Da decenni si discute quale sia il metodo migliore per valutare ed oggi, dopo il susseguirsi di 13 ministri e l’approvazione di 9 riforme, dopo le molte sperimentazioni, (lettere dell’alfabeto, voto in decimali, giudizi sintetici o analitici a seconda delle teorie pedagogiche più in voga al momento) avremo un inasprimento della normativa. Porterà a qualche risultato, sarà un deterrente oppure no? Qualunque cosa sia non sarà sufficiente per affrontare questo fenomeno e non basteranno solo norme di tipo repressivo. Sono convinta che il voto, anche se negativo, non potrà essere risolutivo del problema e non riuscirà a contrastare i gravi comportamenti riportati dalla stampa ultimamente. Del resto per tutto ciò esiste il codice penale ed assisteremo ad un aumento dei ricorsi al Tar. L’inasprimento della valutazione e la discussione che c’è attorno, mette in risalto il vero problema: siamo di fronte ad un’emergenza educativa, sia nel caso che la famiglia chieda alla scuola interventi punitivi verso i propri figli (invocando bocciature o sospensioni) sia che chieda indulgenza apportando giustificazioni. Fino poi a rimpallarsi le responsabilità educative gli uni con gli altri.
Tuttavia è bene ricordarlo qui, il livello di educazione dello studente dipende dai valori e i principi che la famiglia riesce a trasmettere, e ciò non dipende soltanto dalla situazione economica. (Equity in School Education in Europe: structures, policies and Student performance.)
To be continued
Stefania Corsini, ex Dirigente Scolastico.
Zeffiro Ciuffoletti
Perfetto inganno perfetto