C’era una volta in Oklahoma è l’ennesima, debordante storia nera sull’adolescenza dell’America. Un kolossal colossale e, tanto per cambiare, lo firma Martin Scorsese, amatissimo goodfellow, reduce però dal fallimentare The Irishman, dunque in cerca di rivincita a qualunque costo. Costo che include un budget da duecento milioni di dollari e una vicenda che si avvita politicamente corretta che piú corretta non si può, puntando dritta a fare il pieno di Oscar pur tra tanta titolata concorrenza femminile (Barbie).
La storia però c’è tutta e, oltre che vera, è nera di petrolio e di anime. Ma tra i tanti possibili angoli d’approccio, Scorsese ha scelto il piú empatico e inclusivo, il punto di vista di una donna innamorata e ingannata, simbolo di un piccolo popolo indigeno vittima dell’uomo bianco. Ovviamente la critica liberal progressista è andata in brodo di giuggiole. Peccato che il risultato si dipani stanco per tre ore e trentasei minuti, con effetto spesso soporifero, sicché lo spettatore può sortirne stremato anche prima della fine.
Siamo negli anni Venti del Novecento in un subcontinente indiano dove d’improvviso scorre a fiumi l’oro nero. La tribù Osage si scopre miliardaria e passa in breve dal vivere nelle capanne a concedersi comode villette, auto di lusso e servitori bianchi. Veste all’occidentale mantenendo civetterie etniche e manda i figli a studiare in Europa.
Quella montagna di dollari diventa l’inevitabile calamita di avventurieri più o meno avidi e spietati. Alcuni più criminali di altri non si peritano a uccidere per mettere le mani sul malloppo. Non è un banale thriller. Killers of the Flower Moon racconta appunto, con titolo lirico, una storia di complicità mafiose, autentica e documentata da sessanta a cento morti ammazzati.
I cattivi sono Robert De Niro e Leonardo di Caprio, zio e nipote, un anziano astuto mestatore e un giovane un po’ tonto reduce dalla prima guerra mondiale. I buoni sono ovviamente i pellerossa, in particolare la giunonica Mollie, attratta da Di Caprio che lo zio spinge a sposare. Lo scopo è semplicemente assasino. Gia diabetica, la ricca ragazza viene lentamente avvelenata dal marito, mentre intorno si moltiplica la mattanza.
Che dire di questo western moderno in cui alla fine arriva anche il settimo cavalleggeri col distintivo dell neonato FBI? I panorami sono molto panoramici, masse e mezzi ingenti e spettacolari, praterie e fiumi profumano di nostalgie della vita indigena che fu e tutto contribuisce a disegnare splendidamente un’epoca di confine tra l’America com’era e quella che conosciamo.
Eppure, malgrado grondi spiritualita e a dispetto dei quarti di nobiltà dell’autore e delle star, il film annoia, troppo spesso prolisso e pefino insopportabile con De Niro e Di Caprio che per lo più gareggiano a chi fa più smorfie.
Dice Scorsese che i due attori, amici all’inizio delle riprese, hanno finito per odiarsi. Si puó capire. Anche lo spettatore, andato ottimista incontro al film, non vede l’ora di uscire dal cinema a prendere un po’ d’aria. Killers of the Flower Moon uccide anche la pazienza. Dunque non mancherà all’appuntamento con gli Oscar.
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