Chissà cosa ne avrebbe pensato suo nonno materno, il celebre Luigi Comencini, uno dei padri della commedia all’italiana, se avesse visto Carlo Calenda ai cancelli della Magneti Marelli mentre rincorreva gli operai del presidio che gli voltavano le spalle e lui ripeteva stizzito: “Che fate, ve ne andate?”. Di sicuro il grande regista si sarebbe sbellicato dalle risa, ma poi probabilmente lo avrebbe consolato con una carezza e un discorsetto, come solo i nonni sanno fare; e Carletto, chissà, sarebbe tornato a sentirsi Enrico Bottini, il bravo bambino di famiglia borghese che scrive il diario nello sceneggiato televisivo tratto dal libro Cuore e diretto proprio dal nonno.
Diciamo la verità: il senatore Carlo Calenda, già ministro ed eurodeputato, fondatore di Azione ed ex leader del Terzo Polo, è rimasto un po’ “fanciullino”, ma nel senso migliore del termine, che poi è quello indicato da Giovanni Pascoli nel suo saggio intitolato così. Il fanciullo, che normalmente viene dimenticato nella persona adulta, si conserva invece nell’animo dei poeti e li rende sempre stupiti di fronte alla realtà. Per esempio, noi adulti normali vediamo un tramonto e pensiamo che è ora di cena, mentre il poeta resta incantato a guardare il sole che cala. Questa in sintesi la teoria del Pascoli.
Il discorso, però, non vale per la politica, dove si richiede una visione disincantata e aderente alla realtà. Un politico adulto è quello che ha fatto sua la lezione di Machiavelli ed è quindi un pragmatista, non un pessimista o un rinunciatario ma nemmeno un idealista che le spara grosse e poi va a schiantarsi contro il muro delle cose fattuali. Un politico adulto è soprattutto una persona che sa mediare anche con i suoi compagni strada, che cerca alleanze perché sa che da solo non potrà concludere niente o quasi; non è uno che rompe al primo litigio, sbatte la porta e se ne va anziché provare a ricucire, a trovare una soluzione. Un politico adulto, infine, deve sapere comunicare e anche ascoltare, non alzare la voce e dare lezioni, con la spocchia del saputello e del figlio di papà.
Ecco perché Carlo Calenda è andato a battere il muso sui cancelli della Magneti Marelli nonostante le buone intenzioni e facendo la classica “figura di merda”: perché, anche quando dice le cose giuste – come ha fatto criticando la politica di Landini e della Fiom -, le dice con il tono sbagliato; e quando pensa di stabilire una comunicazione, lo vuol fare nei modi e nei luoghi che decide lui. Insomma, la sua è vera e propria supponenza, e il risultato è che finisce per combinare pasticci: come la rottura con Matteo Renzi che, nonostante l’avere anche lui un bel caratterino, aveva capito la necessità di una forza alternativa ai due populismi italiani, di destra e di sinistra, ed era arrivato a scegliere Calenda come leader della suddetta.
Ma Carletto Calenda vuole tutto e subito, altrimenti s’impunta e sbatte i piedi, perché si sente ancora il bambino-protagonista dello sceneggiato Cuore che raccontava le storie della sua classe. Ma il vero narratore – adesso dovrebbe capirlo – non era lui: era Edmondo De Amicis.
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