Lo spread continua la sua faticosa marcia di rientro e si assesta da ormai dieci giorni ben al di sotto dei 240 basis point (oggi 234 per l’esattezza). Un successo a giudicare solo dove stazionava nel mese di febbraio (280), o peggio nei caldissimi giorni dello scorso ottobre, dove un secco scirocco da sud era niente rispetto agli infuocati scambi di cortesia tra Roma e Bruxelles, con lo spread di conseguenza che veleggiava indisturbato a quota 331 bps.
Certo, qualcuno ha provato ad infiammare questa torrida estate con qualche boutade su Mini-bot e Italexit, ma per fortuna lo spread “non si cura di loro, ma guarda e passa”.
Quali le ragioni allora di questa “salutare” discesa? L’Italia s’è desta?
A mio avviso sono 3 i veri motivi: 1) le aspettative al ribasso della inflazione a livello internazionale stanno determinando una brusco calo nei rendimenti dei titoli governativi, di cui anche i BTP. 2) alcune Banche hanno cominciato a comprare i rendimenti governativi più ricchi (di cui l’Italia sembra ambire a questo triste primato in Europa) per avere la liquidità dalla BCE a fronte dei tassi negativi; 3) c’è un riposizionamento di alcuni fondi comuni che comprano Italia (che sui 10 anni offre il 2,3%), rispetto ai nostri più simili competitor (Portogallo 0,63%, Spagna 0,5%).
C’è solo la Grecia che ci batte ancora, con rendimenti decennali al 3,00% circa, ma in netto calo grazie alla domanda sempre più stabile di investitori internazionali, forse grazie anche ai primi incoraggianti risultati ottenuti dopo il default 2012: un surplus primario di bilancio del 3,9% nel 2017 e del 4,4% nel 2018, ampiamente superiori al 3,5% concordato con la Troika. Vuoi vedere che fare i bravi ogni tanto conviene?
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