Nel piccolo circondario di Sonneberg, in Turingia, l’ultradestra di AfD riesce per la prima volta l’elezione di un proprio esponente al vertice di un ente locale. Il fatto in sé ci costringere a riflettere sui perché di questo voto, una ricerca che ha molto a che fare con il rifiuto del presente e la capacità di saperlo sfruttare nell’urna.
Alla fine è successo l’impensabile, l’inevitabile, l’abbondantemente previsto. A Sonneberg, circondario della Turingia con otto comuni e 56.500 abitanti in tutto, per la prima volta gli elettori tedeschi hanno eletto al vertice di un ente locale un politico di AfD, la destra etnonazionalista.
Il partito, nato nel 2013 sull’onda della crisi finanziaria come forza dichiaratamente no-euro e nel quale un copione fatto di periodici rocamboleschi colpi di scena ha puntualmente ingurgitato ed espulso tutti i leader che hanno cercato un avvicinamento al centro, può ora per la prima volta vantare un esponente che il resto dello spettro politico ed istituzionale non potrà semplicemente isolare od ostracizzare, perché eletto direttamente dai cittadini al vertice del piccolo esecutivo locale.
La notizia in quanto tale finisce qui. Che la modesta Sonneberg, per numero d’abitanti il circondario più piccolo della ex Germania Est e secondo più piccolo della Germania intera, grande più o meno come il comune di Benevento o di Faenza, sia specchio dell’intero Paese è una tesi al quale neppure in AfD credono, essendo più che chiaro come fra una piccola zona rurale dell’ex Est e, ad esempio, una grande città dell’Ovest ci sia una differenza enorme. Eppure il segnale è molto più grande di Sonnerberg stessa, e questo non va sottovalutato.
A questo punto sono necessarie due premesse, che forse a modo loro costituiscono un appello alla sobrietà d’analisi ed alla compostezza.
Primo: la vittoria di AfD non è un exploit personale, legato ad un eventuale carisma del candidato vittorioso, tal Robert Sesselmann. Sesselmann è stato finora deputato al Parlamento statale della Turingia, e in questa sede certo non s’è fatto notare per una zelante, appassionata od appariscente carriera parlamentare. Tutt’altro. Sesselmann è quello che i giornalisti italiani chiamerebbero un peone (parola decisamente antiestetica, ma tant’è) e da peone, parlamentare della seconda fila e avvocato di provincia, nella sua provincia ha vinto, e vinto bene. Da solo il 54% dei voti contro tutto il mondo coalizzato per l’occasione. E questo, ovviamente, è un dato non irrilevante.
Secondo: la traduzione di Sonneberg è Monte Sole. E il nome di Monte Sole evoca qualcosa di chiaro: l’eccidio nazi-fascista nei pressi dell’omonima altura vicino a Marzabotto. Per cui – e questo è in realtà l’aspetto più rilevante di tutta la questione non solo di Sonneberg, ma di AfD in generale – forse è necessaria cautela a parlare di nazisti se stiamo parlando d’un posto che si chiama Monte Sole. Perché se AfD sia il ritorno del nazionalsocialismo nel XXI secolo possiamo e dobbiamo discuterne, ma è tutto meno che un dato acclarato, per cui non foss’altro che per rispetto ai caduti, quelli dalla Monte Sole bolognese, non ruzzoliamo con eccesiva velocità in analogie fra questa AfD a Sonneberg ed il partito di Adolf Hitler. Perché a parlare di nazisti, di orde di orchi che calano impietosi su idilliche vallate e cittadine ridenti, forse si fanno tanti clic, non lo mettiamo in dubbio, ma non si fa certo un servizio a chi cerca di comprendere processi ed avvenimenti nelle loro cause e possibili implicazioni. Fine della parentesi.
AfD è un partito di destra estremista. Destra nazionalista e etnica, che parla ai e dei tedeschi come di una comunità in sé chiusa. Su questo non v’è ombra di dubbio ed è certificato in modo unanime da studiosi, servizi segreti interni, osservatori. Il fatto che un numero evidentemente crescente di cittadini voti, o sostenga di voler votare, questo partito non ne trasforma la natura. Se il sovrano è fallibile, e se in democrazia il sovrano sono gli elettori, allora anche questo sovrano collettivo è fallibile. Gli elettori non hanno affatto “sempre ragione”, possono aver benissimo torto marcio, il problema è però che questo non è all’atto pratico molto rilevante, giacché il sovrano sono loro. It’s democracy, stupid.
Media dei sondaggi nazionali da giugno 2022 ad oggi: La linea blu rappresenta AfD ed è in costante, sinora inarrestata crescita. Fonte: dawum.de
La domanda che qui si pone è dunque se gli elettori in misura così rilevante, nei sondaggi come nella realissima Sonneberg, votino AfD perché estremista ed etnonazionalista oppure nonostante la sua natura ed i suoi contenuti. Su questa risposta si arrovellano in tanti. I sostenitori del “perché” finiscono, è ovvio, a criminalizzare gli elettori o aspiranti tali, cosa che in media – in Germania come ovunque – porta a cementare il consenso anziché eroderlo. I sostenitori del “nonostante” mettono in luce come in realtà la maggioranza degli elettori di AfD non la voti per adesione interiore a programmi e contenuti, ma per protesta e preoccupazioni d’altra natura: secondo alcuni recenti sondaggi, addirittura il 67% di chi si dice pronto a votare gli alternativi afferma di volerlo fare non per affinità con le loro idee, ma perché deluso dagli altri partiti. Tutto vero, ma anche questo approccio non erode affatto il consenso di AfD, al più lo spiega parzialmente.
Un approccio alternativo, e forse più promettente, sta nell’ammettere che probabilmente una parte non piccola del corpo elettorale voti (o valuti di votare) AfD mettendone in conto senza entusiasmo la natura di destra estrema, ma con la consapevolezza (reale o sperata) che il loro voto sia un segnale che possa andare e venire inteso oltre l’angusta dimensione dell’elezione concreta. I penalisti qui forse parlerebbero di “colpa cosciente”, cioè del comportamento di chi sì conosce il pericolo, ma agisce con la convinzione e la fiducia di poterlo evitare. Come il lanciatore di freccette verso un bersaglio davanti a cui c’è una persona che egli conta con la sua bravura di evitare e non ferire. Ovvero, tornando a Sonneberg: è impossibile sostenere che gli elettori in Turingia, il Land dove AfD è guidata da uno come Björn Höcke che non si ferma neppure davanti alla citazione di slogan nazisti, ignorino la natura di tale partito. Tuttavia forse lo votano, o sono disposti a votarlo, facendo affidamento sul fatto che nel sistema dato tanto a nessuna AfD riuscirà l’eversione della democrazia (di cui comunque a quanto pare più della metà dei tedeschi dell’Est si ritiene insoddisfatta), ma piuttosto che il crescente consenso a questo partito costringa il sistema ad invertire – almeno su alcuni punti di loro interesse – la rotta.
E qui così torniamo alla concretezza della realtà. In cosa gli elettori di Sonneberg e, in misura crescente, della Germania intera possono pensare che un voto ad AfD possa contribuire a far cambiare la rotta?
AfD non è solo un partito nazionalista. È un partito che si scaglia contro qualunque cambiamento che paia intaccare o volere intaccare benessere, situazioni consolidate, interessi acquisiti. Non è conservatrice ma reazionaria, perché non individua aspetti del presente degni di essere preservati, ma promette un rabbioso ritorno al passato. Che rivuole il gas russo quando ormai il gasdotto Nord Stream è stato fatto saltare in aria. Che difende a spada tratta l’auto diesel mentre ormai l’Europa intera cerca da decenni di andare verso una mobilità meno inquinante. Che si scaglia contro la doppia cittadinanza pur essendo in Germania questa una realtà acquisita dall’ormai non più vicinissimo anno 2000. Che rifiuta migrazione ed immigrazione con toni quasi sempre xenofobi e razzisti, come se milioni di persone in Germania da generazioni potessero o dovessero scomparire da un giorno all’altro.
Perché allora proprio a Sonneberg un successo così netto? Un po’ di tempo fa qui su Kater avevamo parlato in un’intervista con due militanti dei Verdi proprio dalla Turingia del fatto che ad Est ed in particolare nelle zone meno urbanizzate la “fatica da cambiamento” sia più sentita. Perché già una volta, nel 1990 e negli anni che l’hanno seguito, sono state rivoluzionate da cima a fondo l’economia e la società, si sono rimessi in discussioni tutti i posti di lavoro, tutte le relazioni interpersonali, si sono cambiati totalmente i paradigmi sui quali la società è fondata. E allora chi ha già vissuto – direttamente o come società – una rivoluzione della portata sociale di quel cambio sistemico fra comunismo di Stato e liberaldemocrazia guarda spesso ai cambiamenti anche drastici del presente non con speranza, ma con rigetto e ripugnanza. E per lui – o lei – se forse il cambiamento non può forse essere fermato, va almeno rallentato più che si può. Anche votando un partito di cui pur si conoscono identità e natura. Non perché nazionalista né nonostante il suo nazionalismo, ma mettendolo in conto e mirando ad altro.
Così acquisisce significato uno slogan che AfD ama ripetere nella ex DDR: “la Germania per cui eravamo scesi in strada nell’autunno 1989 non è questa”. Non dunque questa Germania che cerca di fare politiche per il clima, che accetta la realtà delle migrazioni, che torna ad un atlantismo netto superando decenni di Ostpolitik che contribuirono senza dubbio al benessere diffuso. Ora, noi non siamo né possiamo essere nelle menti di chi nel 1989 scese nelle piazze ed oggi è ancora vivo e vota, ma certo sappiamo che da allora sono passati quasi 35 anni. Se “la Germania che volevamo” era l’Ovest di Kohl degli anni Ottanta, presente e prospettive future nel 2023 forse davvero ci assomigliano poco. E la promessa assai esplicita di AfD di fermare qualunque cambiamento, fermare in definitiva il tempo, può obiettivamente far presa su chi ha vissuto già una rivoluzione e non ne vuole un’altra, ha già visto stravolgere un sistema economico e del lavoro per l’addio al realsocialismo e forse teme che un presente opprimente e non certo carico di ottimismo faccia ripartire la stessa giostra un’altra volta.
Ecco che allora Sonneberg ed il suo territorio, sperduta campagna ai confini della ex DDR, dove pressoché nessuno dopo il 1990 ha fatto lo stesso lavoro di prima, dove nello stesso periodo il 40% della popolazione è scomparso perché emigrato o mai nato, è in una qualche misura il luogo ideale perché la fatica, la paura ed il rifiuto dei cambiamenti sociali ed economici del presente si rivolgano nell’urna ad un partito reazionario, che sbandiera la promessa di un ritorno al passato. Ritorno ovviamente impossibile.
La domanda che ora Sonneberg lascia a noi è: riusciranno altri partiti ed altre forze ad intercettare questa paura e questo rifiuto dei cambiamenti del presente, partiti e forze che non siano la destra estremista ed etnonazionalista che AfD è? O AfD invece riuscirà con la sua retorica reazionaria a cavalcare ulteriormente questi sentimenti, conquistando man mano dieci, cento, mille Sonneberg? Fino al 20% al Bundestag e oltre?
Fortunatamente alle prossime elezioni politiche mancano ancora un paio d’anni. Ma a Est per le regionali si vota già nel 2024, in Brandeburgo, in Turingia, in Sassonia. Tutti Länder dove AfD è fortissima, e potrebbe facilmente ritrovarsi primo partito nelle urne.
È urgente che alla domanda di Sonnerberg si trovi in fretta una risposta. È urgente che gli altri partiti si diano una mossa.
(N.B. Questo articolo è ripreso, con il permesso della direzione, dal blog Kater https://katercollettive.it. Kater è un blog collettivo che parla di Germania)
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