L’usanza è antica. Cambiare nome alle cose per dare l’impressione che sia cambiata anche la sostanza, come appunto battezzare “pesce” la carne per poter rispettare il precetto del digiuno del venerdì. L’usanza, introdotta nei secoli scorsi da alcuni monaci, è diventata nel tempo quasi una consuetudine per il nostro Paese Gli esempi, anche riferiti al presente, possono essere molteplici: lo spazzino diventa “operatore ecologico”, il maestro “docente di scuola primaria”, il preside “dirigente scolastico” e così via. Cambia il nome ma il resto rimane del tutto uguale. Non succede niente di male se questo vezzo viene applicato alla vita di tutti i giorni. Le cose invece si complicano, e possono avere effetti deleteri, quando si tenta di applicare il trucchetto ai temi economici, cosa nella quale purtroppo sta specializzandosi il nostro governo gialloverde. Il primo assaggio si è avuto quando Salvini ha chiamato “flat tax” una rimodulazione delle aliquote Irpef. La flat tax, come del resto dice chiaramente il termine, è una tassa “piatta”, cioè ad aliquota unica che si applica a tutti. La proposta di Salvini è invece quella di introdurre un’aliquota ridotta, probabilmente al 15%, solo a chi ha un reddito sotto i 50mila euro. Sopra quella cifra, le aliquote sarebbero altre, e questo anche per rispettare il dettato costituzionale della progressività delle imposte. Con la proposta fatta da Salvini la flat tax non c’entra per niente ma il segretario leghista continua a parlarne e genera in tutti la convinzione che le cose stiano proprio come dice lui tanto che anche le opposizioni attaccano la proposta avanzando critiche ad una flat tax che in realtà non esiste. Per non essere da meno in quanto a “fanta-economy” Di Maio ha poi chiamato “avanzo di bilancio” la minor necessità di soldi per quota 100 e reddito di cittadinanza. Rispetto alle previsioni fatte infatti, i due provvedimenti simbolo dei gialloverdi verranno a costare molto meno ma questo, visto che la spesa preventivata era in deficit, non significa che si è avuto un surplus da impiegare per altri settori. Se così fosse basterebbe esagerare nelle previsioni di spesa per poi avere fondi da spendere a piacimento. I soldi non c’erano prima e non ci sono dopo, ergo non avanza niente.
Ora, l’ultimo esempio con la “manovra correttiva” che il governo continua a dire che non ci sarà ma che inevitabilmente dovrà essere fatta sempre che si voglia mantenere le promesse e non sfondare il tetto del 3%. Resta solo da vedere come questa manovra correttiva sarà battezzata.
In questo quadro è davvero difficile dar torto al parlamentare del PD, Marattin, che parlando della cultura economica del governo ha detto che nell’Esecutivo sono molti quelli che non conoscono la differenza fra un bilancio pubblico e un forno a micro-onde. I guaio è che i conti di tanta ignoranza dovremo pagarli tutti noi.
Lascia un commento