All’invito televisivo fattole da Gianfranco Fini a dichiararsi apertamente antifascista, Giorgia Meloni ha risposto con una lettera pubblicata sul Corriere della Sera in cui dice che “il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione italiana”. E con questo la presidente del Consiglio prova a mettere una pezza su quel madornale scivolone verbale di pochi giorni prima, quando si era riferita ai martiri delle Fosse Ardeatine chiamandoli genericamente “italiani”, e dimenticandosi di precisare che erano in gran parte prigionieri politici, militari badogliani ed ebrei.
Ma il problema di questa destra erede del Movimento Sociale, rigenerata con la svolta di Fiuggi in Alleanza Nazionale e infine trasformata nell’attuale Fratelli d’Italia, non è tanto la sua leader che con la recente presa di posizione atlantista ed europeista si è conquistata l’ingresso nel consesso internazionale dei conservatori liberali, quanto il suo gruppo dirigente. Un gruppo dirigente che in alcuni casi (La Russa, Rampelli) si è formato alla scuola di Giorgio Almirante, e che anche per quanto riguarda certi suoi esponenti più giovani (Donzelli, Lollobrigida) sembra rimasto ancorato a quella tradizione eufemisticamente definita “post-fascismo”.
Lo dimostrano le frequenti esternazioni del presidente del Senato che, nonostante la sua partecipazione ufficiale ai riti della Repubblica democratica come la deposizione della corona sull’Altare della Patria la mattina del 25 Aprile a fianco di Mattarella, rivelano il sostrato culturale, ma anche psicologico, del personaggio. E così, dopo l’uscita davvero imbarazzante (immagino lo sia stata anche per Giorgia Meloni) secondo la quale i militari nazisti falcidiati nell’attentato di via Rasella erano “una banda musicale di semi-pensionati”, il senatore La Russa ha affermato che “l’anti-fascismo non è presente nella Costituzione”; salvo poi scusarsi, dicendo che si riferiva solo alla parola e non al concetto.
Lasciamo da parte la figura pittoresca di Ignazio La Russa, che potrebbe anche far sorridere come il Chichibìo della famosa novella di Boccaccio se non fosse la seconda carica dello Stato; e cerchiamo di ragionare sul problema di fondo della destra italiana, che ormai è rappresentata quasi totalmente da Fratelli d’Italia, dati l’inarrestabile declino di Forza Italia – e del suo leader – e il notevole ridimensionamento elettorale della Lega salviniana. Ci viene in aiuto l’ultimo libro di Alessandro Campi, Il fantasma della Nazione, in cui si spiega che la classe dirigente di Alleanza nazionale “si portava dentro, per formazione politica e per vocazione, un sentimento di estraneità (o, più semplicemente, di alterità) nei confronti del patto costituzionale di matrice antifascista da cui nel 1946 era nata la Repubblica italiana”(pag. 114). È dunque il sentirsi “estraneo”, anche quando si indossano i panni istituzionali delle più alte cariche, che provoca quella comunicazione politica spesso dissonante e disturbante, come quando qualcuno prova a ridimensionare il principio fondamentale della Costituzione repubblicana, ovvero la sua intrinseca natura antifascista.
Su questo tema Giorgia Meloni dovrà continuare a misurarsi ed esprimersi, ben oltre la lettera al Corriere, se intende veramente proseguire nel suo percorso di affrancamento dalla tradizione post-fascista; e portare a termine la “svolta” che Gianfranco Fini prospettò con le tesi di Fiuggi, ma che nei fatti non riuscì a realizzare. E per scrollarsi di dosso l’ideologia nazionalista e autoritaria della destra simboleggiata dalla fiamma tricolore, Alessandro Campi, che ha in mente la lezione della Destra storica post-risorgimentale e liberale, indica come sola via il superamento del sovranismo in quanto “dottrina della decadenza”, attraverso un nuovo modo di intendere la nazione “fuori da ogni retorica, in una chiave essenzialmente funzionale”.
Ma c’è anche un’altra strada, non alternativa alla prima, che la leader di Fratelli d’Italia dovrebbe interiorizzare e indicare ai suoi collaboratori: quella indicata dal Presidente Mattarella nel discorso tenuto a Cuneo, e che consiste nell’impegnarsi ad attuare i valori della Resistenza, perché “è dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano permesso lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo”.
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