Se c’è uno spettro che ancora si aggira per l’Europa, evidentemente non è più quello del comunismo che ormai ha traslocato tra la Cina e la Corea del Nord; bensì quello del populismo, qui attivo e in forze più che mai. Per averne conferma basta guardare la Francia, dove tutto lo schieramento dei sindacati sta gettando fuoco sulla rivolta populista (e non popolare) contro la necessaria riforma delle pensioni varata dal presidente Macron, che innalza l’uscita dal lavoro da 62 a 64 anni: una blanda riforma del sistema pensionistico, se rapportata a quella che, giusto per fare un esempio, avemmo noi con la Fornero e alla quale solo pochi si opposero, senza peraltro incendiare le macchine e spaccare le vetrine. Ma Diosanto, se in Italia e in Germania si va in pensione a 67 anni e nell’Unione Europea la media è di 64 anni e 4 mesi, perché i francesi si ostinano e fanno le barricate come fossero tutti adolescenti incapaci di accettare la realtà? Se si trattasse solo delle minoranze esagitate dei gilet jaunes, che abbiamo già visto all’opera negli anni precedenti, si potrebbe definire la rivolta attuale una semplice manifestazione, anche se violenta, delle forze anti-sistema che in certe percentuali sono presenti in tutte le democrazie occidentali. Ma nelle piazze di Parigi c’è molto di più: ci sono, come abbiamo detto, tutti i sindacati, tutta la sinistra socialista (quel che ne resta) e melenchonista, nonché la destra lepenista: forze, quindi, che dovrebbero teoricamente frenare gli impulsi distruttivi delle masse e incanalarli nella tradizionale dialettica democratica.
Non c’è dubbio che il metodo adottato da Macron per varare la riforma sia stato inusuale, evitando cioè il voto parlamentare, ma questa è una prerogativa concessa al presidente della Republique dalla Costituzione francese. E poi le mozioni di sfiducia presentate contro di lui sono state bocciate, anche se di poco. La verità è che quanto sta succedendo in questi giorni in Francia è frutto del populismo, che ha contagiato ampi settori della società civile e del sistema partitico. Un populismo irrazionale e purtroppo trasversale, che si rivolge direttamente alla pancia della gente sperando di lucrare consensi e di riguadagnare la leadership, dopo aver subito la sconfitta per due volte di seguito nelle presidenziali.
Ma veniamo in Italia, dove il populismo ha ripreso coraggio dopo essere stato imbrigliato nell’anno e otto mesi del governo Draghi. Prendete le reazioni di Conte al discorso in Senato di Giorgia Meloni, che sulla guerra in Ucraina ha ribadito chiaramente la posizione atlantista. Conte parla della guerra sbandierando un pacifismo generico e senza fare nessuna proposta concreta, se non quella di chiudere il rubinetto dell’invio di armi a Kiev; mentre sappiamo benissimo che, appena l’Ucraina dovesse restare disarmata, non si aprirebbe il tavolo della pace ma la Russia completerebbe l’occupazione dell’Ucraina e la ridurrebbe a Stato vassallo, più o meno come successe in Ungheria nel 1956. Sempre in Senato, un intervento che ha tracciato un solco nei confronti della presidente Meloni è pervenuto dall’interno della stessa maggioranza: dove Romeo della Lega ha espresso “forte preoccupazione per come stanno andando le cose sul fronte della guerra russo-ucraina” che, guarda caso, lui non ha chiamato col nome giusto che sarebbe guerra di liberazione dell’Ucraina contro l’invasore russo. Anche questo è populismo, più sottile ma altrettanto velenoso: perché intende solleticare quella parte dell’elettorato che è contraria all’invio delle armi e che vorrebbe, comprensibilmente, veder finita la guerra al più presto. Ma come? Questo è il punto ed è la domanda a cui i populisti trasversali non vogliono e non sanno rispondere.
Se poi guardiamo a come hanno reagito gli abitanti di Piombino – con a capo il loro sindaco Fratello d’Italia – all’arrivo del rigassificatore, cogliamo un altro aspetto del populismo: rifiutare ogni forma di cultura sinceramente nazionale, aver smarrito il senso della responsabilità collettiva e dei doveri del cittadino; e, al contrario, spingere unicamente sui diritti delle comunità locali, sulla difesa degli interessi personali (il ”particulare” di cui parlava Guicciardini), su tutto ciò che è locale anche a scapito delle necessità di carattere generale, come nel caso della protesta contro la presenza in porto della nave Golar Tundra che permetterà di ottenere grandi quantitativi di gas a costi accettabili, in parziale ma significativa sostituzione del gas proveniente dalla Russia.
Non si può, in conclusione, trascurare la neo eletta segretaria del Pd Elly Schlein, che sta portando il suo partito verso posizioni radicali e finanche populiste: lo si vede dal suo attivismo e presenzialismo nelle recenti manifestazioni di massa, i cui temi (sempre gli stessi) sono i diritti civili e l’antifascismo. Così è stato a Milano dove la Schlein ha fatto da protagonista nella manifestazione per i diritti delle coppie omosessuali, nella quale, però, la questione vera e propria non era tanto il riconoscimento dei genitori adottivi (facilmente e giustamente risolvibile con una legge ad hoc), ma la gestazione per altri, volgarmente detta “utero in affitto”: quella sì che resta un problema. E allora, cosa ne pensa la segreteria del Pd della Gpa? Perché non lo dice chiaramente? E perché non dice chiaramente qual è la posizione sua e del Pd post-lettiano sull’invasione russa e sugli aiuti militari all’Ucraina? Anche in questo caso, abbiamo sentito solo parole che evocano il pericolo di una escalation militare e auspicano l’apertura di un tavolo per la pace. Ma dove e, soprattutto, chi siederà a questo tavolo? Putin lo vorrà fare? E Zelensky lo vorrà fare prima di aver liberato i territori occupati?
Se il futuro prossimo del Pd è nel radicalismo di massa, visibile a Milano come precedentemente a Firenze nella manifestazione in stile Cln contro il “pericolo” fascista, dove la Schlein e Landini hanno marciato a braccetto e usato gli stessi toni battaglieri, allora appare evidente che, contro il contagio del populismo, si dovrà trovare al più presto un vaccino efficace: riformista, liberale, europeista e atlantista.
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