A pochi giorni dal primo anniversario di guerra, la politica internazionale si è rimessa in moto. A prima vista, non pare siano stati compiuti passi significativi; anzi, a leggere le dichiarazioni ufficiali sembra addirittura che la situazione stia procedendo più in fretta verso il conflitto mondiale. Ma a noi che confidiamo, sempre e a prescindere, nel dialogo e nelle relazioni, questi movimenti appaiono come possibilità di incontro/scontro alternative alla violenza, e perciò li seguiamo e analizziamo passo per passo, parola per parola.
Tutto è iniziato con la decisione della Cina di intraprendere un tour diplomatico, prima presso alcuni paesi europei (Francia, Italia, Ungheria) per partecipare poi anche alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, e di recarsi infine a Mosca per discutere una bozza di risoluzione del conflitto. Questa proposta dovrebbe, nelle sue intenzioni, servire come piattaforma di trattativa presso l’ONU, che per la riunione del Consiglio di Sicurezza del 24 febbraio ha a sua volta predisposto un testo da mettere in approvazione. A questo movimento cinese, e non senza disappunto da parte della Cina, ha risposto immediatamente Joe Biden con una visita lampo imprevista a Kiev, per riconfermare a Zelensky il pieno appoggio incondizionato “per tutto il tempo che serve”. Nel frattempo, mentre Wang Yi, capo della diplomazia cinese, parlava con il Ministro degli esteri russo Lavrov, Putin pronunciava al suo Parlamento un discorso incendiario, nel quale ha annunciato la sospensione del Trattato START sulla non proliferazione delle armi nucleari.
Insomma, all’apparenza tutto sembra concorrere all’irrigidimento delle posizioni e a un’escalation mondiale che coinvolge anche la Cina e altre aree confinanti.
Ma andiamo per ordine.
LE BOZZE DI “PACE” IN DISCUSSIONE
E’ giusto sottolineare il fatto che il viaggio di Wang Yi è partito dall’Europa prima di approdare in Russia; si è trattato di un gesto da non sottovalutare, che può essere interpretato come di cortesia o come avvertimento, ma certamente ha fatto capire che la Cina non resterà più a guardare – come per lo più ha fatto finora. Questa guerra, per quanto lontana dai suoi confini, non le è mai stata gradita e lo diventa ancora di meno prolungandosi senza una fine all’orizzonte. Wang Yi ha ribadito il sostegno politico alle ragioni della Russia, ma ha confermato l’indisponibilità a fornire aiuti militari, che pure Mosca aveva richiesto. «Le relazioni tra la Russia e la Cina non sono dirette contro paesi terzi, ma non cedono nemmeno alle pressioni di questi ultimi», ha detto Wang Yi, che con questa sorta di “neutralità politicamente attiva” si è assicurato l’appoggio russo sulle questioni controverse di Taiwan, Hong Kong, Xinjiang e Tibet. La bozza di accordo, anticipata alle cancellerie europee, appare – per quel che se ne sa – alquanto fumosa. Lo stesso politico cinese l’ha definita “testo di posizionamento”, più che di pace. Esso prevede il rispetto dei principi dell’integrità territoriale e della sovranità, e la richiesta di garanzie di sicurezza per entrambe le parti. Inoltre, la Cina chiede anche il cessate il fuoco e lo stop alle forniture di armi che la Nato garantisce a Kiev per la difesa del suo territorio. Il piano prevede anche garanzie che non ci siano attacchi nucleari o con armi chimiche, oltre alla messa in sicurezza delle centrali ucraine per evitare un’escalation nel conflitto (si tratta di un punto all’attenzione dell’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica fin dall’inizio della guerra). Non è chiaro però come i cinesi vogliano risolvere il punto più delicato della trattativa: ovvero lo status dei territori della Crimea e del Donbass (le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk). Tuttavia il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha detto che vuole vedere il testo formale e completo prima di dare un parere.
I paesi occidentali continuano a lavorare alla proposta di dieci punti presentata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky al G20 di Bali, testo che per ora Mosca ha giudicato irricevibile perché, oltre a chiedere il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina, prevede anche il perseguimento dei crimini di guerra commessi dai russi e il rispetto dell’integrità territoriale ucraina. Il testo cinese è lontano anche da quello che sarà discusso dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ricalca in buona parte il programma di Zelensky. Infatti, il documento, oltre a chiedere un cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe, non riconosce i territori annessi o acquisiti con la minaccia o l’uso della forza da parte di Mosca, dopo i referendum farsa di settembre, e cioè Kherson, Lugansk, Donetsk e Zaporizizhia.
STATI UNITI E NATO
Nella visita a Kiev, Biden ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari (equipaggiamento, munizioni di artiglieria, Javelin e obici), e ha parlato anche di armi a lungo raggio, tanto che Zelensky, commentando l’incontro, ha dichiarato: “Questa visita ci porta più vicini alla vittoria”. Ma contestualmente il consigliere per la Sicurezza nazionale USA Jake Sullivan ha tenuto a dire che, per ridurre il rischio di una missione così importante e senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali, la segreteria di Stato americana aveva avvertito i russi qualche ora prima. Inoltre, Biden e Zelensky avrebbero parlato a lungo anche dei termini di “una pace giusta e durevole”.
Minor prudenza nei toni è stata usata alla Conferenza sulla Sicurezza a Monaco. Von der Leyen ha affermato senza mezzi termini che “l’Ucraina deve vincere” per contrastare “i piani imperialisti” di Mosca. La presidente della Commissione europea, in perfetta linea con il Parlamento europeo, che la settimana scorsa aveva invitato a rafforzare il sostegno militare anche con aerei e armi a lunga gittata, ha sostenuto di dover produrre e inviare all’Ucraina “più armi e velocemente”. Il Segretario della NATO Jens Stoltenberg ha allargato la posta in gioco, affermando che non si tratta ormai soltanto di difendere militarmente l’Ucraina, ma di difendere tutto l’Occidente dal rischio di regimi autoritari che puntano a creare nuova dipendenza economica dei paesi occidentali: il riferimento alla Cina non poteva essere più esplicito. Ma la Gran Bretagna ha frenato sugli F-16, pur senza chiudere definitivamente, e piuttosto rinviando a tempi più maturi, dopo cioè l’addestramento dei piloti ucraini. Inoltre, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha detto anche: «A Kiev serve una strategia militare per vincere sul campo di battaglia e una strategia politica per vincere al tavolo negoziale». Le due dimensioni, militare e diplomatica, vengono ritenute inscindibili, anche se si pensa che un negoziato non si possa avviare prima di aver ottenuto un decisivo vantaggio sul campo. Un appello a cui sembra aver risposto il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba, aprendo al dialogo con la Cina sul concept paper preannunciato già in quella sede e riconoscendo che la Cina può avere “un ruolo importante” nella risoluzione del conflitto. Insomma, posizioni un po’ più articolate rispetto alla lettura univoca e unilaterale della direttrice dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci, la quale, commentando la Conferenza, ha concluso che l’intero Occidente avrebbe preso atto dell’impossibilità di una trattativa con la Russia e che tutti si sarebbero ormai convinti della necessità di una vittoria dell’Ucraina.
PUTIN E LA RUSSIA
In tutto questo, il discorso di Putin all’Assemblea Federale non è stato certo ben augurante. Proprio mentre la Cina svolgeva la sua missione diplomatica, il presidente russo forniva alla Duma una nuova narrazione dei fatti ucraini. Ora addirittura gli accordi di Minsk, siglati nel 2015 con la presenza di Francia e Germania, sarebbero stati orchestrati dall’Occidente per consentire all’Ucraina di addestrarsi e di preparare un attacco nel Donbass; l’ “operazione militare speciale” sarebbe stata dunque un’azione preventiva di una ipotetica aggressione ucraina. L’attenzione è tutta spostata sugli USA e la NATO, che stanno utilizzando l’Ucraina per impiantare nuove basi in Europa orientale e indebolire la Russia, che starebbe subendo un attacco come ai tempi di Hitler. A proposito dell’arruolamento occidentale di forze neonaziste in Ucraina, Putin si è così espresso: “È sorprendente che in occidente nessuno dei poteri costituiti se ne accorga. Perché? Perché a loro, scusatemi per le cattive maniere, non importa. Non importa su chi scommettere nella lotta contro di noi, nella lotta contro la Russia. L’importante è che combattano contro di noi, contro il nostro paese, il che significa che tutti possono essere usati. Il progetto “anti-Russia” rientra in una politica revanscista nei confronti del nostro paese, per creare focolai di instabilità e conflitti proprio ai nostri confini. Negli anni ’30 del secolo scorso e ora il piano è lo stesso: dirigere l’aggressione a est, accendere una guerra in Europa, eliminare i concorrenti per procura”. Il linguaggio nazionalista e la propaganda antinazista servono a compattare l’opinione pubblica, che per la maggioranza sembra rispondere positivamente, ma anche a lanciare un messaggio chiaro agli Stati Uniti: la Russia è pronta a tutto. In conseguenza di questo salto di livello dello scontro, che riguarda non l’Ucraina ma l’Occidente, Putin ha sospeso l’adesione al trattato START.
COS’E’ IL TRATTATO START
START sta per Strategic Army Reduction Strategy, ed è il trattato che punta a limitare o diminuire le armi di distruzioni di massa. Dal primo accordo siglato nel 1991, ne sono seguiti altri e l’attuale è il quinto testo, sottoscritto da Barack Obama e Dmitri Medvedev nel 2010. Alla sua scadenza nel 2021, era stato automaticamente rinnovato da Biden e da Putin per altri cinque anni, fino al 2026. L’accordo ora prevede la riduzione del 60% degli arsenali nucleari e un regime di ispezioni tramite il quale i due Stati controllano reciprocamente il rispetto delle clausole; ciascuno dei due paesi può attivare fino a 18 ispezioni in un anno, con un preavviso di sole 32 ore. Le ispezioni si sono fermate nel 2020, a causa della pandemia, e non sono più riprese. Oggi, la Russia, con questa decisione, impedirà ogni controllo americano, perché gli USA sono a sostenere un governo nemico. Non solo, Putin ha dichiarato di voler rivedere quegli accordi, estendendo il regime ispettivo anche a Gran Bretagna e Francia, quindi includendo la NATO tra i soggetti firmatari del Trattato. Inoltre, Putin potrebbe avviare test nucleari, anche se ha dichiarato di non volerlo fare per primo, ma solo in risposta a test NATO.
NUOVI FRONTI
E’ di poche ore fa la revoca da parte di Putin del riconoscimento della sovranità della Moldavia, decisa perché secondo la Russia l’Ucraina starebbe per attaccare la Transnistria. Si tratta di un altro fronte caldo irrisolto, ai confini tra Russia ed Europa centrale. Fin dall’inizio della guerra ucraina, il governo moldavo guidato da Maia Sandu ha iniziato a temere un tentativo di colpo di stato da parte della Russia, finalizzato a interrompere il processo di integrazione della Repubblica nell’Unione europea e a trascinare in guerra la Transnistria. Anche a causa delle divisioni interne tra filo-russi e filo-occidentali, la Moldavia aveva mantenuto fino a qui un profilo basso sulla guerra: pur avendo solidarizzato con Kiev, non ha aderito alle sanzioni europee contro la Russia (anche perché dipende totalmente da Mosca per l’approvvigionamento energetico), ma ha accolto molti profughi ucraini. Tuttavia nel tempo le cose sono cambiate; a giugno 2022 l’Unione europea ha votato per l’adesione al suo interno della Repubblica moldava, e contestualmente è partito un avvicinamento anche verso la NATO, nonostante l’art. 11 della Costituzione moldava sancisca la posizione di neutralità. Anche la Repubblica moldava della Transnistria – una striscia tra Moldavia e Ucraina, proclamatasi indipendente dalla Moldavia nel 1990, e dal 1992 divenuto uno Stato de facto ma non de iure (non riconosciuta nemmeno dalla Russia) – era rimasta a guardare all’inizio della guerra. Del resto, questa “regione” ha legami commerciali intensi con l’Occidente, ha tra i suoi abitanti ucraini, rumeni e moldavi, oltre che russi, e alle sue richieste di annessione alla Federazione russa, Mosca ha finora risposto negativamente. Ma poiché il paese di Tiraspol ospita una base militare russa, da tempo si teme che la Russia possa utilizzare quel territorio per sferrare un attacco su Odessa.
C’è poi il fronte mediorientale. In primo luogo l’Iran, alleato della Russia ma che in questo momento non può andare oltre il sostegno politico, vista la situazione interna di crescenti proteste e mobilitazioni per la libertà. Anche all’Iran questa guerra non torna utile, anzi è dannosa, perché sempre meno riesce a domare la rivoluzione in corso e qualche cedimento sembra essere in atto. In secondo luogo, il più che secolare conflitto arabo-israeliano. Israele ha tentato di lavorare su un negoziato per il cessate il fuoco in Ucraina, ma al tempo stesso – complice una maggioranza di governo che non era mai stata così di ultradestra – prova a dare il colpo finale alle rivendicazioni dei palestinesi, privi del supporto russo.
Infine, c’è il fronte dell’imponderabile, della catastrofe naturale sempre in agguato nelle aree più povere del mondo: il terremoto in Turchia e Siria, che da una parte distrae la Turchia dall’impegno per le trattative russo-ucraine, dall’altra rinfocola la guerra civile siriana, tra il governo totalitario di Assad, le forze ribelli e l’Isis. Questo fronte è stato da tempo abbandonato al suo destino dall’Occidente, come è stato per l’Afghanistan, ed è rimasta la Russia a contrastare – dalla parte sbagliata – il fondamentalismo islamico. Ma neanche 50.000 morti sotto le macerie sono bastati a fermare tutte le violenze del mondo; siamo ancora insensibili all’appello leopardiano della Ginestra, nonostante siano passati più di due secoli. I terremoti continuano, ma non dipendono da noi; le guerre altrettanto continuano, ma pur dipendendo queste solo da noi.
LO STRETTO CAMMINO PER LA PACE
Lo scenario descritto fin qui appare disperante, ma non disperato; cioè, rivela tutta la distanza tra le posizioni e il loro irrigidimento, oltre al rischio concreto di un allargamento del conflitto, ma al tempo stesso dimostra una ripresa della politica. E’ alla politica che occorre aggrapparsi per interrompere la spirale di violenza e di guerra. L’entrata in scena della Cina può cambiare il senso del conflitto, nel senso che può sfociare nella dimensione globale oppure – e la speranza non deve mai morire – , proprio per evitare questo, può spostare ad un livello più alto il confronto al fine di arrivare almeno al cessate il fuoco. Allo stato attuale, non sembra verosimile un accordo in sede ONU; troppo distanti sono le posizioni, soprattutto se la condizione posta dall’Occidente è quella di inserire nel testo la condanna dell’invasione. L’ONU ribadirà a maggioranza – non schiacciante, e questo è un problema – la condanna della Russia, ma un negoziato non può partire da lì. In questo senso, il concept paper cinese potrebbe servire a superare questo primo impasse. Si intuisce che ai discorsi solenni e roboanti, che fanno parte della propaganda e della comunicazione politica, più a uso interno che esterno, si affiancano intense relazioni diplomatiche a tutti i livelli, i cui contenuti vengono soltanto allusi in brevi dichiarazioni pubbliche. Giustamente la gran parte dei contenuti di contatti tra cancellerie deve essere tenuta riservata; il segreto è d’obbligo per una positiva soluzione di conflitti, perché, come diceva Kant nel suo progetto di pace perpetua, gli accordi devono essere tutti pubblici, ma non il percorso verso il loro raggiungimento, percorso nel quale devono poter essere soppesate tutte le conseguenze e possibilità. Dai piccoli accenni sulle relazioni in corso, bisogna aver fiducia sul fatto che la comunicazione pubblica sia adeguatamente relativizzata dalle parti, e che quella segreta sia al lavoro per scongiurare la terza guerra mondiale, la prima guerra nucleare. La fiducia poggia su basi molto deboli, immaginarie più che reali. Ma è proprio la realtà che dobbiamo contrastare, quella che ritiene inesorabile la guerra e sostiene che essa debba essere vinta. Entrambe le parti lo dicono, ed è per questo che voglio assumere che sia anch’essa una frase di propaganda. Chi la guerra sa cos’è, il capo maggiore dell’esercito USA Mark Milley, ha recentemente affermato che nessuno può vincere questa guerra. “Sarà praticamente impossibile per i russi raggiungere i loro obiettivi ed è improbabile che la Russia riesca a conquistare l’Ucraina. Non succederà”, ha detto Milley in una intervista al Financial Times di alcuni giorni fa. Nel fronte di sostegno all’Ucraina, il dibattito tra chi lo finalizza per difendere il popolo di Kiev e chi per sconfiggere la Russia non è risolto. Lo dimostrano l’atteggiamento della Germania, certe nuove posizioni del primo ministro inglese, la titubanza di paesi come la Turchia e Israele; dall’altra parte il diniego cinese di aiuti militari alla Russia. Puntare all’obiettivo di non far perdere l’Ucraina, anziché farla vincere, non è una sfumatura di poco conto: essa sta a indicare la soglia tra l’entrata diretta in guerra o no dell’Occidente. La Russia lo sa, ed è per questo che Putin ha pronunciato quelle parole. Anche i movimenti pacifisti devono affrontare questo dilemma, e impegnarsi affinché prevalga in via definitiva l’obiettivo della difesa per “non far perdere l’Ucraina”. Questa è ormai la posta in gioco decisiva. E proprio nel momento in cui tutto sembra deflagrare, può esserci la possibilità di uscirne. Come diceva Hölderlin, là dove c’è il pericolo sta anche ciò che salva. Siamo ora esattamente ora in questo preciso crinale.
ASCOLTARE CHI PENSA
L’articolo segreto della Pace perpetua di Kant recitava: “Le massime dei filosofi circa le condizioni che rendono possibile la pace pubblica devono essere prese in considerazione dagli Stati armati per la guerra”. Mi è tornato in mente questo passo straordinario dello scritto del 1795, leggendo l’intervento di Jürgen Habermas Europa tra Guerra e Pace, tradotto per la Repubblica che l’ha pubblicato domenica 19 febbraio.
Oltre a esporre chiaramente il senso del dibattito che si sta svolgendo in Germania dall’inizio del conflitto russo-ucraino, dibattito che qui in Italia non è rappresentato nemmeno da quegli opinion maker che sostengono la via del negoziato, Habermas introduce argomenti della riflessione finora totalmente ignorati. Si tratta di argomenti morali, riferiti alla morte e alla sofferenza del popolo ucraino, e alla responsabilità dell’Occidente che di fatto partecipa alla guerra inviando armi. Habermas non ha una posizione pacifista, e ha sostenuto la necessità di fornire armi per la resistenza ucraina. Ora si pone il problema se non si stia passando quel Rubicone tra armare per la difesa e armare per la vittoria, e si interroga sull’interesse dell’Occidente e dei singoli paesi occidentali.
Scrive Habermas: “L’Occidente ha propri legittimi interessi e obblighi. Quindi i governi occidentali agiscono in un contesto geopolitico più ampio e devono tenere in considerazione altri interessi oltre a quelli ucraini in questa guerra: hanno obblighi giuridici nei confronti delle esigenze di sicurezza dei propri cittadini e inoltre, indipendentemente da quelle che sono le posizioni della popolazione ucraina, hanno una responsabilità morale per le vittime e le distruzioni provocate con le armi fornite dall’Occidente; quindi non possono scaricare sul governo ucraino la responsabilità delle brutali conseguenze di un prolungamento delle ostilità, possibile solo grazie al sostegno militare offerto”. Da una parte penso che le opinioni pubbliche, e coloro che in questi giorni riempiono le piazze per la pace, debbano interrogare i rispettivi governi sulla tutela della sicurezza dei propri cittadini; dall’altra vorrei che gli Stati “armati per la guerra” (come scriveva Kant) leggessero queste parole, e anche tacitamente provassero a darsi delle risposte. Forse basterebbe questo a far maturare l’impellente necessità dell’insostenibile fatica per la pace.
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