Gli studenti universitari italiani nel settore delle humanities – cioè soprattutto lettere, filosofia, storia, scienze della comunicazione – sono il 20 per cento del totale, a fronte della media UE pari al 15 per cento. Ogni anno i laureati italiani in queste materie sono 80.000 a fronte di 30.000 sole assunzioni di personale qualificato nella c.d. industria culturale.
Questa non corrispondenza quantitativa tra le competenze che l’università produce nel settore umanistico e quelle che il tessuto produttivo è in grado di assorbire è soltanto un aspetto di quello che le scienze sociali studiano come il mismatch, lo squilibrio tra domanda e offerta, caratteristico del mercato del lavoro italiano. Per curare questa vera e propria malattia del nostro sistema occorre innanzitutto un servizio efficiente e capillare di orientamento scolastico e professionale: materia che la Costituzione riserva in via esclusiva alle Regioni.
Nei Paesi del centro e nord-Europa dove questo servizio funziona bene, esso è in grado di: raggiungere ogni adolescente all’uscita di ciascun ciclo di scuola media, inferiore e superiore; tracciare il profilo delle sue aspirazioni e capacità; rilevare l’eventuale gap tra di esse; nonché soprattutto informare l’adolescente e i suoi genitori circa i percorsi formativi più adatti al suo profilo e meglio suscettibili di assicurare uno sbocco occupazionale con esso il più possibile coerente. L’assenza di un servizio di questo genere costituisce una delle cause principali della disoccupazione giovanile nel nostro Paese.
Vero è che quel servizio non può funzionare bene se non dispone del dato relativo al tasso di coerenza tra ciascun corso di laurea o di formazione professionale e gli sbocchi occupazionali effettivi dei suoi diplomati: dato che in Italia – a differenza degli altri Paesi sopra citati – non viene rilevato in modo sistematico ed obbligatorio. Ma anche questa rilevazione rientrerebbe nella competenza specifica delle Regioni. Anche della Regione Lombardia, per il cui Consiglio regionale voteremo il 12 febbraio. Vogliamo dedicare un pezzetto almeno della campagna elettorale anche a questo tema, niente affatto secondario?
(questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal sito www.pietroichino.it)
Maria Acomannima
Come non essere d’accordo con l’autore?
Purtroppo la scuola non fa abbastanza per indirizzare gli studenti nella scelta degli studi da intraprendere dopo la scuola media e spesso sono le famiglie stesse che non consigliano i ragazzi nel modo giusto.
Salvo poi a lamentarsi che i figli non trovano lavoro!
Domenico BALESTRINI
Mi pare che da noi non ci siano delle visioni omogenee nella valutazione degli studi necessari per un futuro di lavoro degli alunni: alcuni predicano di studiare ed approfondire le materie classiche (qualcuno si dice desolato che i licei classici abbiano solo il 5% di nuove iscrizioni) Altri (Iachino e concordo con lui) Raccomandano di scegliere il ciclo scolastico in base sia ai loro interessi e soprattutto alle possibilità di impiego e di carriera che si intravedono nel futuro.