Il Pd nasce dall’incontro fra la cultura del comunismo democratico italiano e la cultura sociale cattolica. In termini politici dall’incontro fra l’ex Pci e la ex Dc sociale. Il nuovo Pd cosa dovrebbe mantenere e cosa dovrebbe aggiungere a questi filoni culturali?
Il Pd non deve né aggiungere, né sottrarre. Deve, piuttosto, recuperare in pieno le ragioni che sono alla base della sua nascita e offrire una concreta prospettiva a quelli che sono i suoi valori fondanti. Valori che affondano le loro radici in un terreno più ampio di quello richiamato nella tua domanda: il Partito democratico è nato dall’incontro del pensiero della sinistra democratica e liberale – e quindi della cultura comunista, di quella socialista, di quella azionista – e del personalismo cristiano, del comunitarismo, dell’ambientalismo. Proprio il tema della sostenibilità ambientale, insieme ad esempio a quello della transizione digitale, sono poi il segno di come le sfide che abbiamo di fronte chiedono ad ognuno uno sforzo di continuo rinnovamento, di innovazione. Ma a partire dalle fondamenta gettate quindici anni fa, che a loro volta sono solide anche perché poggiano sulla cultura delle forze politiche che hanno scritto una Costituzione come la nostra, che resta sempre attuale.
Il Pd è nato come partito a vocazione maggioritaria. È ancora attuale questa impostazione?
Certo che è ancora valida. La vocazione maggioritaria non era, non è mai stata, presunzione di autosufficienza, ma ambizione e volontà di parlare all’insieme della società italiana. Con la consapevolezza che la capacità di offrire risposte concrete ai problemi del Paese, individuando punti di approdo equilibrati e sostenibili, poteva, e può, incontrare il consenso di un elettorato che è sempre più mobile e orientato a scegliere quella che ritiene essere la migliore proposta programmatica e la migliore visione. Un soggetto ampio e plurale, quindi, attento in particolare ai più deboli, a chi non ce la fa. Perché oggi le fragilità sono tante e si sono accentuate, anche per le conseguenze sociali ed economiche della pandemia e della guerra in Ucraina. Che nel panorama politico ci sia un partito riformista forte e radicato nella società è interesse della democrazia italiana.
Il problema delle disuguaglianze sociali è uno dei principali fenomeni da affrontare nell’attuale fase dello sviluppo economico mondiale. Nella tradizione della sinistra italiana questo tema è vastato affrontato principalmente attraverso un approccio laburista. Diffondere formazione e competenze, abbattere blocchi all’ingresso nel mondo del lavoro e favorire la collocazione dei gruppi e dei singoli svantaggiati attraverso serie politiche attive. Il Reddito di cittadinanza propone un altro approccio al tema. Cosa pensi in proposito?
Non c’è dubbio che se il nostro ascensore sociale non riprenderà a funzionare, se rimarrà bloccato, le diseguaglianze rischiano di rimanere cristallizzate. La precarietà, la frammentazione dei contratti di lavoro, l’indebolirsi dei fondamentali principi di solidarietà, sono tutti fattori che alimentano incertezze e insicurezze. Avere una scuola più forte è importante per accrescere il patrimonio di conoscenze, così come è altrettanto imprescindibile disporre di una formazione continua, perché le nuove tecnologie rischiano di mettere ai margini persone con competenze deboli. Il Reddito di cittadinanza non va contrapposto a questo. È una misura importante che sicuramente va riformata nelle parti in cui non funziona, a partire dalla necessità di collegarla meglio alle politiche attive per chi è nelle condizioni di poter lavorare. Vanno, quindi, rafforzate le politiche pubbliche per i centri per l’impiego e la formazione. Bisogna fare in modo di migliorare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Serve una grande infrastrutturazione immateriale sui saperi, le conoscenze, la valorizzazione delle professionalità, che coinvolga Stato, Regioni e sistema della formazione e delle imprese. Solo così saremo in grado di separare l’assistenza necessaria da quella fittizia.
Sul tema ambientale il Pd ha scelto una strada netta: decarbonizzare il sistema per cercare di delimitare gli effetti negativi del cambiamento climatico e puntare su un serio piano di mitigazione degli effetti. Il piano per la mitigazione richiede forti investimenti per i prossimi trent’anni. Siete disposti a sostenere più investimenti e meno spesa corrente? E a dirottare investimenti verso la mitigazione (acqua, rischi naturali, calore innalzamento del mare etc)
C’è una parte della spesa corrente che va riqualificata., perché sono soldi dei cittadini, e che va meglio indirizzata dove c’è più bisogno. Il tema della sostenibilità ambientale è una priorità. Noi in Veneto ne siamo testimoni diretti: dalla Marmolada alla tempesta di Vaia, dall’erosione alla subsidenza, c’è tutta una serie di fenomeni che ci impongono un cambio di rotta molto netto. Investire su questo è investire sul futuro. Basta sussidi sulle produzioni inquinanti. Va rivisto il sistema delle incentivazioni e bisogna andare verso il superamento di un modello di sviluppo inquinante, senza però trascurare il destino dei lavoratori che vanno riqualificati e ricollocati, perché il prezzo di questi processi non può essere pagato dalle fasce più deboli.
Il rapporto stato mercato è un punto sensibile per la sinistra. C’è tradizionalmente una fiducia ex ante forte per lo stato, mai verificata ex post, e d’altra parte una sfiducia non sempre motivata sul mercato. Il nuovo Pd come deve posizionarsi sulla dicotomia stato/mercato?
Non è una questione di posizionamento. E qui torniamo ai nostri valori. Oggi, ripeto, la sfida è ripensare il nostro modello di sviluppo. Ed è proprio la questione ambientale a porre il tema. Le persone, i cittadini sono sempre più attenti nelle loro scelte di consumo sull’impatto che queste scelte hanno. Questo tipo di approccio, sempre più consapevole, è la chiave di volta per un cambiamento vero che incida anche sulla produzione. Del resto che ci sia l’esigenza di approdare ad un nuovo modello di sviluppo equo, sostenibile e inclusivo non è convinzione solo della sinistra. La Chiesa di Papa Francesco esorta, giustamente, a porre al centro la persona, a rifiutare la logica di quella che viene chiamata “economia dello scarto”. E d’altra parte, pandemia e guerra hanno riproposto il tema del ruolo dello Stato nell’economia. La sfida, quindi, è come uscire dal piano dell’emergenza e offrire una nuova cornice all’intervento pubblico come supporto alle politiche di sviluppo. È un tema ampio, che riguarda ad esempio anche il ruolo dei lavoratori all’interno delle aziende, come dare voce a forme più avanzate di democrazia economica.
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