Non è un film anni Settanta con Alvaro Vitali nelle vesti di un deputato impertinente e chiassoso, che si diverte a innescare una lite furibonda con i colleghi seduti nell’altra parte dell’emiciclo, anche se potrebbe sembrare. In realtà l’attuale Pierino è un giovane deputato Fratello d’Italia, impenitente attaccabrighe, salvo poi a ridersela quando i cronisti lo inseguono davanti a Montecitorio e i paparazzi lo fotografano come fosse una star del cinema di serie B (quello che piaceva tanto perché faceva divertire la gente e le toglieva dal capo le angosce di tutti i giorni anche se solo per un po’).
È ovvio che stiamo parlando di Giovanni Donzelli, fiorentino e meloniano doc, allevato nella scuderia di Casaggì e del Fronte universitario d’azione nazionale, dove si ascoltano con venerazione le conferenze del politologo Marco Tarchi e si continua a leggere e considerare maestri Ezra Pound, René Guenon e Julius Evola.
Se mi è concessa una piccola memoria biografica, vidi Donzelli per la prima volta una decina di anni fa, uscendo da una bellissima mostra in Palazzo Strozzi: lui era nella piazzetta davanti all’ingresso principale e, circondato da bandiere tricolori, arringava una piccola folla con una foga e una carica che rimasi catturato a guardarlo per un quarto d’ora. Ricordo anche che non capii molto di quello che diceva ma più lo guardavo e lo ascoltavo, e più mi convincevo che quel ragazzo ne avrebbe fatta di strada.
E infatti è arrivato in Parlamento nella schiera dei giovani meloniani: una vera e propria falange di trentenni e quarantenni, truppe scelte, fedelissimi alla Capa e indiscutibilmente ardimentosi.
Donzelli, che è persino vicepresidente del Copasir, pare che a Roma sia coinquilino di Andrea Del Mastro, sottosegretario alla Giustizia: la sera, prima di coricarsi, si raccontano come hanno passato la giornata romana e si fanno le confidenze, come fanno tutti i buoni amici. È così che Donzelli ha appreso che quattro parlamentari del Pd, dopo aver visto Alfredo Cospito nel carcere di massima sicurezza di Sassari, hanno pure incontrato un paio di mafiosi come lui in regime di 41 bis; e soprattutto ha conosciuto il contenuto veramente allarmante di alcune conversazioni – intercettate – tra l’anarchico e i boss mafiosi. Ora, noi ancora non sappiamo se tali conversazioni fossero secretate o solamente “sensibili”, ce lo diranno i magistrati che se ne stanno occupando; ma il guaio è che Pierino, alias Giovanni Donzelli, ha combinato una delle sue: le ha spiattellate in un discorso alla Camera e, addirittura, se n’è servito per mettere alla gogna Debora Serracchiani e gli altri onorevoli dem che erano entrati in carcere, accusandoli di nutrire simpatie per terroristi e mafiosi.
La “pierinita” ha avuto l’effetto desiderato: è scoppiata la bufera, prima in parlamento e poi con un lungo strascico nei media. Ma Donzelli, da golden boy della Destra italiana, si è rapidamente trasformato in una macchietta della peggior commedia all’italiana; che non è quella magnifica dei Gassman e dei Tognazzi, bensì quella di Alvaro Vitali e dei suoi tre o quattro film sulle avventure di Pierino. E, proprio come in “Pierino contro tutti”, Donzelli si è messo tutti contro: non solo l’opposizione che ha ritrovato in questa occasione l’unità, ma persino gli alleati forzisti.
Fino ad ora la leader di Fratelli d’Italia nonché presidente del Consiglio ha taciuto, ma il suo ministro della Giustizia Nordio non ha pronunciato una sillaba in soccorso di Donzelli, anzi ha correttamente precisato che di lui e del suo amico Del Mastro si sta occupando la magistratura. Solo Matteo Salvini l’ha difeso, ma di lui si sa che, dal Papete in poi, non ne azzecca più una.
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