Presidenzialismo? Perché sì! Perché anche no! (28 gennaio 2023)
Cambiare la forma di governo è una necessità. L’occasione persa del 2016. I pro e i contro delle varie soluzioni in campo.
Si torna a parlare di cambiare la nostra inadeguata forma di governo. Non sarà mai troppo presto, forse è già troppo tardi.
C’eravamo quasi arrivati, poi per far fuori Renzi, oppositori esterni e interni alla sua maggioranza alleati a conservatori istituzionali d’ogni genere si allearono e decisero di lasciare le cose come stavano, Cnel, province, bicameralismo paritario, compresi (il 4 dicembre 2016).
Ora il governo Meloni spinge: e si può ben capire. Primo, è una necessità storica divenuta più stringente in tempi di sfide difficili. Secondo, chi è al governo e vuol lasciare il segno non può non avere un disegno istituzionale. Terzo, è un’antica bandiera dei Fratelli d’Italia e dei loro progenitori…
Provo a dire un’altra volta la mia.
1) La storia del “presidenzialismo”. Non facciamo finta di non capire: chi ne parla, a partire dalle destre al governo, NON si riferisce al modello presidenziale tipo USA che pure così si chiama. Nessuno negli ultimi quaranta anni l’ha mai proposto seriamente. E del resto fa acqua da tutte le parti: prima di tutto proprio negli Stati Uniti.
2) Per “presidenzialismo” si intende più semplicemente il sacrosanto e necessario rafforzamento e stabilizzazione (per una legislatura o poco meno) della funzione di governo. E su questo i più sono d’accordo, a parole. Purtroppo, da sempre, ci si divide sull’essenziale: che non è il fine, ma lo strumento, il come.
3) Una larga parte della maggioranza guidata da Meloni avanza una generica proposta di elezione diretta del presidente della Repubblica. L’obiettivo sarebbe quello di replicare il modello c.d. semi-presidenziale francese che unisce elezione diretta del capo dello Stato e governo legato da rapporto fiduciario con l’Assemblea nazionale (UNA camera, of course!).
4) Altri contrappongono una strategia diversa: rafforzare il regime più strettamente parlamentare che abbiamo (anche quello francese, in parte lo è: vedi situazione attuale). Anche qui il problema sta nel come, con quali strumenti.
5) Gli studiosi più seri di queste cose ormai convengono su un punto cruciale: l’elezione diretta del presidente NON garantisce affatto di per sé un funzionamento “semi-presdenziale alla francese”; vi sono numerosi paesi nei quali l’elezione diretta si unisce a un funzionamento al 100% o quasi parlamentare. Per converso vi sono regimi parlamentari (a dire il vero sempre meno e con sempre maggiore fatica) nei quali il governo è DI FATTO direttamente legittimato dal voto popolare, sufficientemente stabile e efficiente, e il premier forte assai.
6) Proprio per queste ragioni la critica di valenti riformisti, per esempio Giovanni Guzzetta, secondo il quale la soluzione del c.d. “premierato forte” è ambigua (può portare ad esiti diversi a seconda degli strumenti usati), vale in realtà pari pari anche per l’elezione diretta del presidente (in Francia funziona a quel modo si è avuta da 60 anni una gerarchizzazione a vantaggio del presidente, legata al sistema elettorale e recentemente anche ai tempi del voto, SUCCESSIVO all’elezione presidenziale: ma come si vede oggi può non bastare).
7) Io penso da sempre che la strada migliore è quella effettivamente percorribile e maggiormente condivisa. La vicenda dolorosa del 2016 lo conferma. Aggiungo però che elezione del presidente e premierato forte “pari” non sono. Un tempo poteva in qualche misura essere anche così. Oggi non più: la polarizzazione della lotta politica (dappertutto, e anche da noi) è giunta al punto da farmi pensare che un “vero” premierato sarebbe la soluzione oggi preferibile. Lascerebbe il presidente di riserva che abbiamo visto all’opera in più circostanze, per i casi DAVVERO eccezionali, senza il rischio di potenziali contrapposizioni con un governo che resterebbe di norma espressione del rapporto governo-Parlamento. Senza dire che introdurre oggi l’elezione diretta del capo dello Stato imporrebbe quasi certamente di rinunciare alle prestazioni preziose di un eccellente e sperimentato presidente…
8) Naturalmente il “premierato forte” tale ha da essere: non una finta. Per capirci i correttivi di tipo tedesco-spagnolo da noi in questo stato delle cose NON sarebbero certamente sufficienti. Ci vuole di più: non solo una parziale attribuzione al primo ministro del potere di scioglimento (in determinate circostanze), ma prima di tutto una legge elettorale tendenzialmente “decisiva” (e dubito che il sistema elettorale uninominale a doppio turno, in sé eccellente, darebbe – allo stato dell’arte – garanzie sufficienti), unita a una qualche formula costituzionale che agevoli – di norma – l’investitura di fatto degli esecutivi.
Se poi le forze politiche si orientassero nella grande maggioranza per l’elezione diretta, vedremmo quali correttivi sarebbero necessari per gerarchizzare l’esecutivo a due teste (a quel punto) a vantaggio del presidente e con quale legge elettorale: tecnicamente però la vedo una sfida anche più complessa e di riuscita non più probabile e con qualche rischio in più.
In ogni caso sarà il caso di tenersi pronti a denunciare soluzioni di facciata, destinate a lasciare che le cose restino come stanno, in cambio di un po’ di propaganda a buon mercato.
Lascia un commento