Il 31 dicembre 2022, è partita la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, dei servizi cioè che vengono dati ai cittadini da comuni, province, città metropolitane, unità montane, con richiesta di un pagamento, da parte degli utenti, per la copertura dei costi che gli enti sostengono. La riforma è contenuta nel decreto legislativo 201/2022 (Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), entrato per l’appunto in vigore il 31 dicembre. La riforma riguarda anche la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani, poiché queste attività fanno parte dei servizi pubblici di rilevanza economica.
Va purtroppo detto che la riforma prende l’avvio in un momento poco propizio. Cori di protesta di cittadini indignati perché sommersi dai rifiuti si alzano in molte parti del Paese. Alle proteste, si uniscono vibrate accuse alle amministrazioni abili nel fissare e pretendere la tassa per il servizio (TARI), ma incapaci di gestirlo dignitosamente. La politica non sa dare risposte univoche sullo smaltimento dei rifiuti, oscillando tra discariche e inceneritori/termovalorizzatori. La riforma dovrebbe evitare che, in futuro, si ricreino le indecorose situazioni che avvengono sia per la raccolta, sia per lo smaltimento dei rifiuti.
Infatti, per tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica ― e, quindi, anche per quelli dei quali stiamo parlando qui ― la riforma si pone obiettivi ambiziosi: “raggiungere e mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità del trattamento nell’accesso universale e i diritti dei cittadini e degli utenti”.Gli obiettivi saranno raggiunti mediante: “concorrenza, efficienza nella gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, sviluppo sostenibile, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati, applicazione di tariffe orientate a costi efficienti, promozione di investimenti in innovazione tecnologica, trasparenza sulle scelte compiute dalle amministrazioni e sui risultati delle gestioni”. Tutto avverrà assicurando “la centralità del cittadino e dell’utente”.
Dopo i principi, il decreto 201/2022 stabilisce le regole per l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici locali. Trattandosi di servizi che possono anche riguardare territori limitrofi, e quindi più enti locali, per l’organizzazione suggerisce le interazioni che possono stabilirsi tra essi. Prevede anzi per queste misure incentivanti. La gestione può essere affidata a imprese esterne attraverso gare pubbliche, a società con capitale misto pubblico-privato, a società create all’interno dello stesso ente locale (cosiddette, società inhouse). Per alcuni servizi, la gestione può essere effettuata direttamente dall’ente locale.
La fissazione delle tariffe ― cioè quanto far pagare il servizio ai cittadini ― deve avvenire seguendo i rigidi criteri previsti dal decreto. Le tariffe devono assicurare l’equilibrio tra i costi e i ricavi. Per evitare i disastri finanziari che si sono verificati e che sono tuttora presenti nella gestione dei servizi pubblici locali, sono stabiliti rigorosi controlli periodici sull’andamento della gestione. Entro il 2023, gli enti dovranno ricostruire il quadro esistente per la gestione dei servizi. Da ultimo, l’applicazione della riforma non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Ogni ente la attuerà con le risorse umane, strumentali e finanziarie di cui già dispone.
Per principio, ogni riforma va sempre accolta con soddisfazione. Si ritiene (e si auspica) che la riforma migliori le situazioni esistenti nel settore cui è destinata. Dunque, anche quella della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani dovrebbe poter risolvere le situazioni di degrado che si trascinano da anni. Sarebbe tuttavia improprio ― e forsanche riduttivo ― limitarsi a vederne i pregi sottacendone difetti e punti critici. Anche in questa riforma non mancano.
Partiamo dal fondo. Da tempo, ogni provvedimento legislativo conclude stabilendo che la sua attuazione non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Scopo del divieto: evitare aggravi per le (già sufficientemente) disastrate finanze dello Stato. Così ― come ricordato ― anche il decreto 201/2022. Un simile divieto può tuttavia determinare, immediatamente, l’affossamento della riforma. Già oggi gli enti locali sopravvivono a stento. È vero che, per la raccolta dei rifiuti, si incassano pagamenti dagli utenti. Ma, per rispetto della verità, è altrettanto vero che, soltanto mediante artifizi contabili, si potrà dimostrare l’equilibrio tra costi e ricavi. Quindi, quale che sia la forma scelta per la gestione di questi servizi, e per la funzione sociale che devono svolgere gli enti locali, un sostegno pubblico ci vorrà sempre.
La descrizione degli obiettivi della riforma e delle modalità per conseguirli è una perfetta sintesi di un manuale di economia pubblica (e, se si vuole, anche privata). In astratto, è utile e opportuna. Però il legislatore sembra ignorare le reali condizioni delle risorse (strutturali, umane e finanziarie) ora esistenti presso molti enti locali. Se poi si aggiunge la questione dello smaltimento dei rifiuti (discariche “ufficiali” inutilizzabili, ricorso alle abusive, inceneritori da costruire), si può forse solo confidare che il superamento di carenze e lacune del servizio potrà avvenire attraverso l’attuazione dei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma in tempi imprevedibili.
Se la gestione dei servizi di raccolta dei rifiuti urbani è affidata a terzi, dovrà porsi fine a costumi consolidatisi da tempo presso gli enti locali per cui le “partecipate” ― con poca attenzione per la corretta gestione ― sono spesso considerate sedi di favoritismi (nomine di amministratori amici, affidamenti di incarichi, ecc.), nonché luoghi per attuare azioni (collocamento di persone, acquisti di beni) non possibili seguendo le norme della pubblica amministrazione. E poi c’è tutto il capitolo degli affidamenti dei servizi a società in house che avvengono direttamente dall’amministrazione alla società da essa stessa costituita. Benché vadano giustificati con ampie e qualificate motivazioni, lasciano sempre il sospetto che si vogliano aggirare le norme sulla concorrenza, peraltro insistentemente richiamate nella riforma. E, aggirare le norme sulla concorrenza, non sempre consente costi minori.
Sebbene l’ordinamento giuridico del nostro Paese già stabilisca miriadi di controlli per gli enti locali, episodi di mala gestione e di disastri finanziari nei servizi pubblici sono frequenti. Se la riforma vorrà avere successo e conseguire gli obiettivi che si prefigge, i controlli stabiliti dal decreto 201/2022 dovranno essere particolarmente rigorosi.
In ogni caso, anche la riforma della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani è legge. Sarà interessante vederne tempi e modi di applicazione.
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