Il 2023 sarà il primo anno di un governo di destra. Con il quale, con le sue politiche, con i suoi valori dovrà confrontarsi, naturalmente, anche Napoli.
Destra in Italia è categoria controversa. Rimasta nel ghetto dell’indicibile per molti decenni, delegittimata dalla “religione civile” dell’antifascismo, poi confluita come opinione moderata nel ventre spazioso della Democrazia cristiana, fu “sdoganata” soltanto nel 1994, grazie al crollo della Prima Repubblica e alla nascita della coalizione di Silvio Berlusconi.
A Napoli, peraltro, la destra ha una storia piuttosto particolare. Richiama il referendum del 1946, con i napoletani che votarono in massa per i Savoia. Evoca la stagione di Achille Lauro e del suo partito monarchico. Rimanda alla sfida del 1993 fra Alessandra Mussolini e Antonio Bassolino, quando la sinistra raccolse il 55% dei suffragi, ma il Movimento Sociale fu di gran lunga il partito più votato in città. Napoli, in altre parole, è rimasta storicamente ai margini dell’antifascismo e ha espresso non di rado un’opinione pubblica moderata, conservatrice, con venature talvolta clericali. Nè deve stupire il fatto che abbia, al tempo stesso, una lunga tradizione di sindaci di sinistra comunista (Valenzi, Bassolino), di sinistra cattolica (Iervolino) o di sinistra populista (De Magistris). Una contraddizione che si deve forse alla debolezza dell’offerta politica delle destre cittadine, più che a una supposta vocazione di sinistra degli elettori. E che si spiega, non di meno, con la storica presenza di una diffusa domanda assistenziale, la quale ha le sue ben note ragioni socio-economiche: basso reddito pro capite, disoccupazione, lavoro nero, debolezza imprenditoriale. Non è certo un caso che Napoli presenti un filo rosso populista – dal laurismo agli “arancioni”, fino all’attuale plebiscito grillino – e che oggi passi per essere la culla del reddito di cittadinanza. Una semplificazione, ma anche un dato di realtà.
Sarà dunque questa città a dover fare i conti con la destra di governo. E, per certi versi, non dovrebbe essere un incontro difficile. Napoli non ha soltanto una fetta di opinione pubblica tradizionalmente orientata verso il classico binomio Legge&Ordine: è una metropoli che davvero – effettivamente, immediatamente – ha bisogno di legge e ordine, di repressione della grande e piccola criminalità, di imposizione di comportamenti quotidiani legalitari. Se la destra di Palazzo Chigi porterà Legge&Ordine, avrà dato il suo contributo alla costruzione di una città normale. Sarà la benvenuta.
Assai più controverso appare un altro versante della questione. E cioè il dilemma se il governo Meloni sarà o meno un governo a trazione settentrionale. Dilemma spinoso perchè bisognerebbe anzitutto intendersi sul significato delle parole. Bisognerebbe cioè capire se la destra opterà per politiche di sviluppo a scala nazionale (magari negando al Sud qualsivoglia “occhio di riguardo”) o piuttosto farà scelte tarate sugli interessi elettorali dei partiti di maggioranza, della Lega “nordista” anzitutto. Il che, data la ristrettezza della coperta, rischierebbe di lasciare in sofferenza gli interessi meridionali. Bisognerebbe capire, per esempio, se il ridimensionamento del reddito di cittadinanza verrà inteso all’interno di efficaci “politiche attive” (cioè politiche occupazionali) o sarà soltanto l’assunzione di un mercatismo ideologico, di un mercatismo che per seguire il sacrosanto obiettivo della produttività dimentica il problema della coesione sociale e territoriale.
Certo è che in queste circostanze Napoli dovrà fare uno sforzo di grande avvedutezza, valutando gli effetti concreti delle politiche meloniane ma senza fasciarsi la testa, rivendicando i diritti sacrosanti della metropoli ma guardando le cose in una prospettiva non solo immediata e locale. Ed evitando di chiedersi – come invece continua a fare in modo ossessivo – se questo sarà un governo amico o un governo ostile. Speriamo sia semplicemente un buon governo.
(questo articolo, pubblicato su www.nagora.org , è ripreso con il consenso dell’autore)
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