Da tempo si parla di una possibile uscita di Matteo Renzi dal Pd per formare un suo partito, magari una versione italica di En Marche di Emmanuel Macron. Specie su qualche giornale come La Verità (si fa per dire …) lo si dá per certo da tempo. Paradossalmente perfino una parte del suo stesso partito, quello che lo considera un ‘problema’, ci spera. Forse tale epilogo, per ragioni addirittura opposte, se lo augura anche una consistente fascia di sostenitori del senatore, sempre più a disagio con la leadership di Zingaretti, dai medesimi percepita come quella che più di altre prende distanze dai provvedimenti a suo tempo adottati dal governo a guida Renzi, senza però proporne di nuovi. Si conferma, insomma, anche nel Pd, l’endemica tendenza della sinistra a dividersi. L’esatto opposto di ciò che accade nella destra, che invece trova sempre ottime ragioni e soprattutto convenienze per stare unita anche nelle diversità. L’ex premier dei 1000 giorni, contrariamente alle previsioni di tanti, non solo dà prova di militanza fedele nel suo partito, ma addirittura, prima del voto, indica al suo popolo di confermare il consenso al Pd diversamente da ciò che altri fecero quando lui era segretario. La tenuta del partito può essere letta anche in questa ottica. Un salto di qualità a sinistra, addirittura una svolta culturale, che dimostra la statura di un leader che però trova più estimatori all’estero che nel Bel Paese.
Chi pare invece rompere gli indugi, dicendosi pronto a creare una nuova formazione politica, è Carlo Calenda. L’ex ministro dello Sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni e neo eletto nelle liste dem al Parlamento Europeo, all’indomani del voto, in una intervista a Repubblica, afferma che il movimento da lui stesso promosso, “Siamo Europei” potrebbe diventare un partito, ma solo se questa indicazione dovesse arrivargli dai dem. Precisa Calenda: “Sono iscritto al PD, lavoro con Zingaretti. Il mio movimento dovrebbe rimanere quello che è: il collante di un mondo più ampio della sinistra. Ma se serve sono pronto a trasformarlo in un soggetto politico”.
Calenda alle europee è stato capolista del PD nel Nord Est, risultando il candidato del suo partito capace di ottenere il maggior numero di preferenze. “Siamo Europei” è stato un manifesto entro il quale riunire tutte le forze progressiste italiane in un’unica lista. Nell’intervista Calenda dice dunque che tale lista potrebbe trasformarsi in una formazione di centro, liberaldemocratica, da affiancare al PD per contrastare il successo della destra.
Secondo Calenda una lista liberaldemocratica è necessaria. “Sarebbe molto importante costruirla – dice – e se nascesse darei sicuramente una mano a mettere insieme tre grandi culture: la sinistra, il cattolicesimo democratico e il liberalismo, con un programma comune. Nell’intervista Calenda dice che sarà fondamentale, per il futuro del centrosinistra, che si formi una coalizione ampia che coinvolga più forze politiche: liberaldemocratici (attualmente non rappresentati in modo autonomo, se non marginalmente da Emma Bonino), il PD e i Verdi, aggiungendo che questi ultimi dovrebbero però cambiare pelle: “I nostri Verdi – secondo Calenda – dicono no a tutto, apparendo come un Movimento 5 Stelle in piccolo. Eppoi ci sono, appunto +Europa e Italia in comune. Con questi elementi – nel Calenda pensiero – l’alleanza si allarga e si rafforza”. Calenda dice anche che il leader di questa coalizione potrebbe essere l’ex primo ministro Paolo Gentiloni, che “rappresenta la forza tranquilla di cui abbiamo bisogno”, e che oggi è il presidente del PD. Gentiloni al monento appare però vicino a Zingaretti, che invece mostra molta sensibilità verso LeU e la sinistra del partito, piuttosto che verso prospettive più larghe.
Nei mesi scorsi si era parlato molto della possibilità di Calenda di fondare un proprio partito distinto dal PD, e già altre volte aveva mostrato la sua intenzione di andare anche oltre il centrosinistra tradizionale per creare una forza centrista. Dopo la pubblicazione dell’intervista, Calenda ha scritto su Twitter criticamente nei confronti del titolo di Repubblica, e ha insistito di non aver detto che fonderà un partito né che lascerà il PD, ma piuttosto che “Siamo Europei” potrebbe diventare una forza politica autonoma in un’alleanza elettorale col PD, soltanto nel caso in cui Nicola Zingaretti glielo chiedesse. Pare però al momento fantapolitica, perché troppi scenari dovrebbero mutare. Quando mai si è visto un segretario chiedere ad un suo autorevole esponente di andare a fondarsi un nuovo partito? Il dibattito però c’è. Ed è anche vero che i flussi raccontano come gran parte del “non voto” appartenga a potenziali elettori di un area liberale, cristiana e socialista. Gente in ogni caso che non si riconosce nell’attuale offerta politica in Italia. E, visto che quello del non voto è equivalente in termini numerici al partito di maggioranza relativa, ci sarebbero vere e proprie praterie da esplorare. Una forza politica che rappresenti un collante tra cristiani, liberali ed europeisti, può però difficilmente scaturire dalla costola di un partito. Semmai potrebbe nascere dal riunirsi di personalità portatrici di esperienze in vari settori e pronte a “scendere in campo” per una esperienza in antitesi con il sovranismo, l’estrema destra e il populismo. Il dibattito nel Paese su questo tema è sottotraccia, ma ben presente. E l’azione del governo italiano, sempre più isolato in campo internazionale e sempre più debole e contraddittorio in quello interno, non può che portare presto a maturazione un frutto per ora ancora acerbo.
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