Nessuno crede più che historia magistra vitae, dato che anche chi conosce bene la storia non ne trae affatto le conclusioni dovute e cade in errori già compiuti nel passato. Eppure credo che la storia della Francia nel 1940 – dopo la sconfitta da parte di Hitler – ci insegni qualcosa che ritroviamo oggi, in particolare nella guerra in Ucraina.
Dopo la disfatta del giugno 1940, il generale Philippe Pétain – che aveva allora 84 anni – rovesciò la formula di Clemenceau, pensò che la pace fosse una cosa troppo seria per essere lasciata ai politici. Pétain insomma – che pure aveva respinto le armate tedesche nel 1916 con l’inferno di Verdun – divenne un fiero pacifista, con argomentazioni non banali: siccome i Tedeschi avevano intenzione non di occupare tutta la Francia (interessava loro solo la parte Nord per fare la guerra alla Gran Bretagna) ma di lasciare un governo francese indipendente, occorreva approfittare di quest’occasione per evitare ai Francesi dolori e umiliazioni ancora maggiori. Non firmare la resa con i Tedeschi, non formare un governo, significava mettere tutta la Francia nelle mani dei nazisti, che avrebbero inflitto ai cittadini le vessazioni che di solito si infliggono ai popoli nemici. Pétain inoltre aveva rifiutato la proposta tedesca di dichiarare la guerra alla Gran Bretagna, così la Francia avrebbe goduto della pace pur nel mezzo della guerra ormai mondiale[1].
La visione opposta era quella di Charles de Gaulle, generale senza alcun esercito, una testa calda, un visionario, un irresponsabile che voleva continuare una guerra impossibile. Oggi si può pensare che le scelte di Pétain e di de Gaulle fossero complementari, e quindi, in fin dei conti, non incompatibili: Pétain assicurava ai Francesi l’indipendenza e il non partecipare più alla guerra, mentre de Gaulle assicurava la possibilità di poter vincere poi una guerra che nel 1940 era perduta. Eppure all’epoca le due proposte erano inconciliabili, uno dei due doveva finire condannato a morte per alto tradimento. Alla fine della guerra venne condannato a morte Pétain, anche se fu graziato perché aveva ormai 90 anni. Ma col senno di poi, non potremmo pensare che, dopo tutto, entrambi in qualche modo abbiano salvato la Francia o i Francesi?
Quel che rovina però questa tesi della complementarietà tra Pétain e de Gaulle è il fatto che la Francia pétainista non si limitò a essere neutrale nella guerra, di fatto collaborò attivamente col nazismo. La stessa Francia di Vichy – non Repubblica di Vichy, perché si voleva anti-repubblicana – era un regime semi-fascista, anti-democratico, ultra-conservatore, basato sulla trinità “lavoro, famiglia, patria”. Insomma, Pétain simpatizzava per un regime simile a quello nazista. Fu così che la polizia francese collaborò alla persecuzione degli ebrei, ovvero fu complice del massacro di una parte dei propri stessi cittadini. Agli inizi, il ragionamento pacifista pétainista poteva essere persuasivo, di fatto però il regime di Vichy mostrò l’affinità elettiva tra Pétain e Hitler. Questo punto è fondamentale: la politica non è solo quel che i politici dicono, è anche quello che non dicono ma che mostrano attraverso quel che fanno o anche solo quel che dicono. Ritroviamo qui una differenza essenziale che Wittgenstein aveva messo in rilievo in filosofia: quella tra dire e mostrare, che non coincidono.
Oggi diciamo che ha storicamente vinto de Gaulle. Diciotto anni dopo la costituzione di Vichy, de Gaulle a sua volta creò una nuova costituzione, la Quinta Repubblica francese, che continua ancor oggi e che si è dimostrata, tutto sommato, solidamente democratica. Nemmeno gli anti-gaullisti la criticano. Ma pochi dicono che Pétain invece è finito nella pattumiera della Storia perché voleva la pace… quando non la si doveva volere. Ma quando si deve volere la pace, e quando no?
Oggi la posizione pacifista nei confronti della guerra in Ucraina, dovuta a un’aggressione russa (cosa molto diversa dal rapporto Francia-Germania nel 1939: allora fu la Francia a dichiarare guerra alla Germania, non viceversa), ricorda molto gli argomenti di Pétain. Questi all’epoca convinsero molti, anche non filo-fascisti né ultra-conservatori. I pacifisti di oggi dicono che la Russia, malgrado le sue disfatte militari, è riuscita a conquistare la parte orientale dell’Ucraina e che non sarà affatto facile sloggiarla, anche perché molti nel Donbass sono filo-russi. La guerra rischia di protrarsi a lungo, anche anni, infliggendo grandi sofferenze soprattutto alle popolazioni ucraine delle zone investite dalla guerra. Anche se resa militarmente potente dalle armi occidentali, l’Ucraina dovrebbe saggiamente accettare il dato di fatto, l’annessione alla Russia di certe proprie aree, prima di tutto della Crimea. L’argomento forte, l’asso nella manica, dell’argomento pacifista è sempre lo stesso: risparmiare lutti e sofferenze alla popolazione. Particolarmente ai bambini, aggiungono quasi sempre, per rendere la loro argomentazione più patetica e convincente. “Non siamo affatto filo-putinisti” dicono costoro, “vogliamo solo il bene della popolazione ucraina, che non vuole la guerra”. Si dà per scontato infatti che la gente comune non voglia affatto la guerra. Fosse il cielo se fosse sempre così!
Il pregiudizio consolatorio secondo cui i popoli sono sempre contrari alle guerre, anche se scatenate dal proprio paese, si dimostra molto spesso del tutto falso. Così, sondaggi compiuti da agenzie indipendenti dal regime putiniano (come Levada Center) hanno rilevato come una stragrande maggioranza dei russi appoggiavano e appoggiano la guerra contro l’Ucraina[2]. D’altra parte, sondaggi non meno indipendenti mostrano che, nell’ottobre 2022, la maggior parte degli ucraini (70%) sono per continuare la guerra fino alla vittoria, e per “vittoria” il 91% intende la cacciata dei russi non solo dai territori invasi a partire dal febbraio 2022, ma anche la Crimea[3]. Di fatto, la maggioranza di entrambi i popoli, il russo e l’ucraino, appoggiano i loro rispettivi governi: sono per fare o continuare la guerra.
Spesso un intero popolo può divenire aggressivo, guerrafondaio, spietato. Spesso un intero popolo può resistere eroicamente a un’invasione.
Ma chi sono i pacifisti occidentali? Sono in primis leader della destra, come Salvini e Berlusconi in Italia, che per anni hanno avuto ottime relazioni con Putin o con il suo establishment. Ben prima di questa guerra, infatti, essi simpatizzavano nel fondo per l’autarchia putiniana, che in gran parte riprende la trinità pétainista “lavoro famiglia patria” a cui aggiunge anche Dio, purché sia quello cristiano, soprattutto ortodosso o cattolico. Anche qui occorre distinguere quel che questi leader dicono (argomenti pacifisti) e quel che invece mostrano. Ovvero, essi mostrano, come già Pétain con Hitler, la loro affinità elettiva con la visione putiniana. E’ il non-detto che rende comprensibile il detto.
Poi ci sono i pacifisti di sinistra, i quali non dovrebbero avere alcuna simpatia per la visione putiniana. Nella sinistra radicale includo anche il Movimento 5 stelle, anche se rifiuta l’etichetta “sinistra”. I loro argomenti razionali sono identici a quelli dei pacifisti di destra: gli ucraini devono rassegnarsi a perdere parte del loro territorio per risparmiare sofferenze ai loro cittadini. Erano gli stessi però che non criticavano il Vietnam del Nord e il Vietcong (l’esercito rivoluzionario vietnamita del Sud) per provocare sofferenze inaudite alla popolazione vietnamita attaccando l’esercito sud-vietnamita e quello americano negli anni 1960 e 1970. E sono gli stessi che non criticano Hamas nella Striscia di Gaza quando spara razzi in territorio israeliano esponendo quindi la propria popolazione a ritorsioni da parte israeliana (a furia di pungere il gigante con gli spilli, questo dovrà pur reagire con qualche schiaffone, prima o poi). Anche qui, una cosa è quel che dicono, altra cosa è quel che non dicono ma che di fatto regola il loro discorso: il dover essere comunque contro l’Occidente, da intendere qui in senso lato, come i paesi liberal-democratici a industrializzazione avanzata[4]. Siccome Zelenskij è alleato strettamente all’Occidente, istintivamente la simpatia va a Putin. Anche se questi pacifisti di sinistra non se ne rendono sempre conto, essi fanno il gioco di Putin: gli Ucraini si devono arrendere alle pretese russe, ovviamente per il proprio stesso bene.
C’è una sorta di riflesso condizionato di parte della sinistra non contro il capitalismo – perché la Russia è non meno capitalista, anzi, è il capitalismo nella sua forma più selvaggia e cleptocratica – ma contro l’Occidente di cui essa è parte. E dell’Occidente in particolare odia gli Stati Uniti, la massima potenza. La bussola di una certa sinistra è questa: qualunque cosa venga politicamente dall’Occidente è male e va osteggiato. Chiunque si opponga all’Occidente gode di una sua viscerale simpatia.
Ovviamente questo assunto fondamentale non viene mai detto, anche perché così detto rivelerebbe tutta la propria irrazionalità. Si dice invece che la guerra in Ucraina è “una guerra per procura”. Gli Stati Uniti farebbero la guerra alla Russia con il sangue degli Ucraini. Così come si potrebbe dire che la lunga guerra del Vietnam fu una guerra per procura dell’URSS contro gli USA usando il sangue dei vietnamiti (l’URSS avrebbe svolto allora lo stesso ruolo che gli Americani svolgono oggi in Ucraina, così come oggi i Russi svolgono il ruolo allora svolto dagli Americani). In questa ottica gli americani appaiono più vili e cinici dei Russi, che almeno si battono con il loro proprio sangue.
Ma il punto è: perché gli Americani dovrebbero voler fare guerra alla Russia? In che modo la Russia oggi può dar fastidio direttamente a US ed UK (i paesi più impegnati in questo conflitto) fino al punto da doverci fare la guerra usando gli Ucraini come carne da cannone? Certo è molto fastidioso il grande arsenale nucleare di cui dispone la Russia. Il suo esercito convenzionale invece ha dimostrato con la guerra in Ucraina tutte le sue pecche e fragilità. L’economia della Russia è grande più o meno come quella spagnola, non produce nulla che possa sfidare l’Occidente nei settori di punta che oggi contano, come l’informatica, l’elettronica, l’innovazione automobilistica, i media, le energie alternative. L’unica forza della Russia sono il petrolio e il gas, che però US e UK non comprano perché sono altrimenti autosufficienti. Un’altra forza russa è il grano, che l’Occidente è in grado di produrre altrove. A differenza di quelli cinesi, i prodotti russi non si espandono affatto nel mondo. Insomma, la Russia è una potenza di serie B, un semplice gigante nucleare nudo in un deserto economico, non così pericolosa da dover essere attaccata militarmente. Notiamo inoltre che all’inizio l’America non credeva affatto nella capacità degli Ucraini di resistere all’invasione russa, perciò subito dopo il 24 febbraio l’America propose a Zelenskij di rifugiarsi in Occidente, dando la partita per persa. Proposta che, come tutti sanno, Zelenskij rifiutò. E’ solo dopo che gli Ucraini si dimostrarono in grado di resistere abbastanza bene all’attacco russo che Biden cambiò idea e investì massicciamente in aiuti per l’Ucraina. Come secondo il proverbio “aiutati, che Dio (l’America) ti aiuta”.
Nessuna ragione economica né geopolitica spiega insomma il deciso schierarsi dell’Occidente a fianco dell’Ucraina. La ragione è solo di tipo etico o ideologico che dir si voglia, direi anche di tipo filosofico: l’Ucraina è un paese che ha scelto la strada di una democrazia liberale, mentre la Russia ha preso la strada della democrazia illiberale. Tutto qui. Lo so che questo apparirà scandaloso a tutti quelli, di sinistra e di destra, i quali pensano che la ragione ultima, il movente fondamentale, di tutti gli atti politici sia l’economia, oppure la Realpolitik intesa come politica di pura potenza. L’economia certo è un fattore importantissimo, ma non basta per decifrare le scelte spesso del tutto anti-economiche, e dissennate, degli esseri umani. In effetti, oggi tendiamo a pensare che tutto ciò che è anti-economico è dissennato. Alla base c’è essenzialmente una divergenza etico-filosofica: liberalismo contro illiberalismo.
Quindi, coloro che in Occidente hanno avuto o hanno simpatia per Putin – da Trump a Salvini, da Marine Le Pen a Berlusconi – mostrano così qualcosa di profondo di quel che pensano e di quel che sono: la loro fondamentale ostilità al liberalismo, inteso non come lo intende una certa pubblicistica – come le teorie ultra-liberali del free market – ma come cultura dei diritti universali, delle libertà civili, della tolleranza delle diversità e del pluralismo. Così come Pétain, articolando un discorso pacifista all’epoca del tutto convincente e razionale, esprimeva in questo modo, nel fondo, la sua profonda affinità con le idealità nazi-fasciste.
[1] Ciò non ha impedito alla Francia, con 567.000 morti tra militari e civili, di avere nel corso della guerra più morti dell’Italia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
[2] Ad aprile 2022 appoggiava la Guerra l’83% dei Russi. Cfr. R. Dixon, “Russians back war in Ukraine, but report finds notable opposition”, The Washington Post, https://www.washingtonpost.com/world/2022/09/07/russia-war-ukraine-public-opinion/.
[3] N. Liu, “Poll Shows Ukrainians Resolved to Fight Until Victory”, October 19, 2022, https://www.voanews.com/a/poll-shows-ukrainians-resolved-to-fight-until-victory/6796951.html.
[4] Di fatto, oggi è questa la nozione di Occidente, che ha perso ogni riferimento geografico. Per Occidente intendiamo i paesi altamente industrializzati con regimi liberal-democratici, tra i quali Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Israele, Australia, Nuova Zelanda.
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