Dopo gli anni bui del giustizialista pentastellato Bonafede e la parentesi felice della Ministra Cartabia, purtroppo interrotta prematuramente con la caduta del governo Draghi, i garantisti di destra e di sinistra avevano salutato con entusiasmo l’arrivo in via Arenula di Carlo Nordio, ex magistrato di cui era ben nota la cultura liberale e garantista. Ma poi, nelle prime settimane dall’insediamento del governo Meloni, l’entusiasmo era andato via via scemando: perché Nordio non diceva e non faceva niente per venire incontro alle speranze di quanti volevano sentirlo parlare di riforma della giustizia.
Non si era espresso nemmeno quando il suo collega dell’Interno Piantedosi aveva scritto un decreto per impedire i rave-party in cui neppure si nominava e si chiariva la fattispecie di reato, e si ipotizzavano pene fino a sei anni di reclusione degne del Cile dei tempi di Pinochet. Un vero e proprio obbrobrio giuridico che, per fortuna, poi è stato emendato in Parlamento.
La delusione di tutti quelli che avevano gioito alla nomina del guardasigilli Nordio era diventata palpabile, anche perché nessuno se ne faceva una ragione.
Fino a quando Nordio, di punto in bianco, è tornato ad essere sé stesso. E allora ha assicurato a Matteo Renzi una indagine degli ispettori del Ministero sull’attività inquirente dei Pm fiorentini intorno alle finalità e ai fondi della fondazione renziana Open; attività inquirente che, ricordiamolo, ha portato alla pubblicazione su organi di stampa dei conti correnti del senatore e persino all’arresto dei suoi genitori sulla base di accuse poi smontate nei processi.
Ma soprattutto il Ministro, che è da poco stato audito in Commissione Giustizia del Senato, ha fatto un lungo ragionamento analizzando tutti i nodi irrisolti della giustizia italiana e indicando le linee programmatiche di riforma che intende perseguire.
Musica per le orecchie dei garantisti e dei liberali: si parte con l’esigenza di una “profonda revisione” della disciplina delle intercettazioni che sono diventate “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”; per poi toccare l’altro punto cruciale che va modificato, l’obbligatorietà dell’azione penale, perché rappresenta “un intollerabile arbitrio” del Pm libero di indagare su chiunque senza rispondere a nessuno. Nordio ha ripreso anche il tema referendario della necessaria separazione delle carriere all’interno della magistratura e si è infine dilungato su quello che è sempre stato un suo cavallo di battaglia: la presunzione di innocenza che “continua ad essere vulnerata dall’uso strumentale delle intercettazioni telefoniche, da un’azione penale arbitraria e capricciosa, dalla custodia cautelare utilizzata come pressione investigativa, dall’informazione di garanzia che diventa una condanna mediatica”.
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