“I dati diffusi oggi da Censis e ILO confermano le nostre preoccupazioni.
Nel Paese cresce la povertà assoluta e aumentano le disuguaglianze e le insicurezze”.
Così si può leggere oggi, 3 dicembre, sulla pagina Facebook della UIL Confederale. Peccato che sul report ISTAT su “la redistribuzione del reddito in Italia” del 23 Novembre si legga “Nel2022 si stima che l’insieme delle politiche sulle famiglie abbia ridotto la diseguaglianza (misurata dall’indice di Gini) da 30,4% a 29,6%, e il rischio di povertà dal 18,6% al 16,8%”.
Due rilevazioni così opposte sono troppo, anche per chi pensa che la statistica possa dire tutto e il contrario di tutto: in realtà questo è un pregio della cultura italiana, non della statistica in sé. Ma allora, a fronte delle parole chiarissime scritte da ISTAT, dov’è nel rapporto CENSIS l’affermazione opposta rilevata dalla UIL? Nel capitolo “Lavoro, Professionalità, Rappresentanze” si può leggere “Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi 4 punti percentuali in meno”. E’un po’ poco, a confronto col report ISTAT che esamina “tutti gli effetti dei principali interventi sui redditi familiari adottati nel 2022: (i) la riforma Irpef;(ii) l’assegno unico e universale per i figli a carico; (iii) le indennità una tantum di 200 e 150 euro, i bonus per le bollette elettriche e del gas; (iv) l’anticipo della rivalutazione delle pensioni”.
Tradotto: i provvedimenti assunti dal Governo Draghi hanno ridotto povertà e diseguaglianze; l’inflazione in prospettiva potrebbe riaprirle, soprattutto se “Il 51% dei lavoratori dipendenti in Italia è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale” come si legge nello stesso capitolo del Rapporto Censis.
“Gli indici statistici non mostrano né un aumento della diseguaglianza né una scomparsa della classe media. La sostanziale stabilità negli ultimi dieci anni – ha scritto Andrea Brandolini, vice capo del dipartimento economia e statistica della Banca centrale – nasconde importanti cambiamenti nelle posizioni relative di specifici gruppi socio-demografici. In un quadro di cronica debolezza della dinamica dei redditi, la ridefinizione delle posizioni relative di intere fasce sociali – in particolare, i lavoratori rispetto ai pensionati, i giovani rispetto agli anziani – può aiutare a spiegare il diffuso senso di impoverimento e indebolimento delle prospettive future, percepito dalle persone e riflesso nel dibattito pubblico”.
Il che dovrebbe ricordare ai Sindacati che la base della loro esistenza è contrattare il prezzo della forza lavoro in rapporto dialettico col capitale: se questa funzione non viene esercitata si verifica il paradosso per cui perde chi lavora (inflazione, immobilità dei salari, CIG, ecc.) ma non chi è pensionato, e quindi tutelato dalla spesa pubblica. E la risposta non può essere quella di mettere a carico dei contribuenti anche la difesa del potere d’acquisto dei salari, generalizzando decontribuzioni e detassazioni.
(questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal Numero 137 del bollettino Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Anna Kuliscioff, 7 novembre 2022)
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