339.431. No, non sto dando i numeri, ma sono stati i nuovi nati in Italia nel 2021 (fonte Istat). Ogni numero va spiegato però, se vogliamo capirne gli effetti. Spoiler: abbiamo un grosso problema in Italia, le nascite continuano a diminuire (-12% sul 2020), si vive sempre di più (e questa è una buona notizia) e si assiste ad un crollo della popolazione in età lavorativa.“Beh, si lavora di meno e si vive di più, cosa volere di meglio?”, potrebbe obiettare qualcuno. Ma la situazione non è esattamente favorevole. Nel 2021 si è toccato il numero più basso di sempre di nuovi nati della nostra storia Repubblicana. Se i nuovi nati continueranno a diminuire (e contestualmente aumenterà la componente anziana), qualunque flusso migratorio, seppur rilevante, non potrà mai compensare il numero in diminuzione dei lavoratori attivi, ovvero, coloro che permettono agli anziani di ricevere la pensione, allo Stato di erogare i servizi e in generale, alla comunità di fruire del benessere sociale ed economico. Si sperava che durante il Covid, nella costrizione delle mura domestiche, le giovani coppie italiane trovassero più tempo per un po’ più di intimità, ma purtroppo, un anno dopo, sembra che la ricca offerta delle numerose pay-tv abbia prevalso. Il neo-costituito Ministero della famiglia e della natalità dovrà presto invertire la rotta e probabilmente dovrà cominciare favorendo l’occupazione giovanile e soprattutto quella femminile. Non è una scelta ideologica. La natalità non potrà aumentare fino a che rimarrà bassa l’occupazione femminile. In altri termini, fin quando prevarrà la sensazione di incertezza economica e di precarietà, le donne e i giovani in generale ritarderanno scelte genitoriali. Serve anche un nuovo patto scuola-lavoro: devono aumentare le opportunità di immediato inserimento. Se i giovani conquistano prima e in maniera stabile l’autonomia economica, formeranno prima la famiglia e si sentiranno più responsabilizzati all’interno della società. Quando divenni padre, qualcuno mi disse che avrei lavorato di più, perché investito da una nuova responsabilità. Aveva ragione. La vitalità demografica è il più importante indice del dinamismo sociale ed economico di un Paese. Altro che PIL!… Le conseguenze, altrimenti, e nel caso italico sono scontate: con una popolazione attiva in costante calo sarà più difficile ripagare il nostro debito pubblico. E minor teste significa anche minori consumi, dunque minori investimenti, dunque minore produzione, dunque minor occupazione. Un circolo vizioso da cui non se ne esce. Con l’aggravante che non solo il sistema pensionistico andrebbe in forte tensione, ma anche il sistema sanitario non potrebbe più erogare una assistenza essenziale garantita a tutti. Le politiche demografiche sono investimenti, non costi. Abbiamo l’opportunità di utilizzare le risorse di Next Generation EU in asili nido/scuole, in aiuti in generale alle giovani coppie per l’acquisto della casa, in finanziamenti per l’imprenditoria giovanile e femminile, o bonus bebè. Se non lo faremo, l’auspicato aumento del numero medio di figli per donna non compenserebbe comunque la minor natalità dovuta alla riduzione delle potenziali madri. È statistica, purtroppo. Nella desolante fotografia appena rappresentata, c’è tuttavia un punto di luce rappresentata dalla piccola Provincia di Trento, dove invece il saldo di natalità è in costante crescita negli anni. Bollenti ardori, o programmazione? La seconda. Come il 3 novembre del 1918 Trento fu “liberata” dagli Italiani, a distanza di 104 anni potrebbe essere proprio l’esempio di Trento a salvare l’Italia. Come? Beh, lo vediamo la prossima volta…
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