La domanda più frequente che mi sento fare in questi giorni sull’attuale situazione economica mondiale è: “ma per quanto tempo durerà?”. I più ottimisti pensano che dovremo soffrire ancora questo inverno, poi epocali cambiamenti geopolitici porteranno la pace nel mondo e un livello dei prezzi finalmente normalizzato a livello globale, i più pessimisti, invece, rivivono la memoria della crisi petrolifera del ’74, e (qualcuno) arriva a sentenziare che è l’inizio di una era di decrescita infelice. Non ho doti divinatorie, ma per mia natura rimango ottimista, almeno basandomi sullo studio dei cicli economici. Però, qualche approfondimento va fatto.Dopo il Covid il nuovo virus da combattere a livello mondiale si chiama inflazione. È un problema per tutti e di tutti e chi sostiene che alcuni Paesi si stiano avvantaggiando dalla guerra in corso, confonde forse i maggiori incassi realizzati dalla vendita di risorse energetiche, con lo svantaggio (comunque superiore) di un costo della vita divenuto insostenibile. E infatti per contrastare questo virus un ruolo essenziale lo giocano le banche centrali che alzano i tassi di interesse, non rinnovano le obbligazioni di proprietà arrivate a scadenza e drenano la liquidità (si chiama quantitative tightening), nei Paesi dove hanno giurisdizione. Sono tutti tecnicismi, ma non è questo importante. Da inizio anno si contano complessivamente più di 90 rialzi dei tassi a livello mondiale: un numero che non ha precedenti nella storia economica e destinato a superare abbondantemente la centinaia per fine anno. Il meccanismo è semplice: il rialzo dei tassi comporta un aumento del costo del denaro, proprio per scoraggiare l’accesso al credito da parte dei consumatori e/o altri soggetti economici e dunque raffreddare la domanda aggregata e il livello globale dei prezzi. E questo è quello che si fa sulla cosiddetta inflazione da domanda. C’è però anche una altra inflazione (da offerta) legata all’aumento dei prezzi di determinati beni “sentinella” (su tutti materie energetiche e alimentari), su cui le banche centrali possono fare poco: un individuo ha la necessità di scaldare casa e/o mangiare, a prescindere dai prezzi di queste materie. In realtà, se le banche centrali sapranno raffreddare opportunatamente l’economia come indicato prima, questa potrebbe entrare in recessione, e, a un minor livello di consumi aggregati, si assocerebbe un minor livello di produzione industriale, quindi minor energia da consumare e prezzi di questi fattori in forte contrazione. Insomma, si potrebbe partire da sopra, per sistemare il problema anche sotto. Ma torniamo a bomba. Quanto tempo ci vorrà per riportare l’inflazione al livello del 2%, ritenuto come quel livello di inflazione buono e fisiologico che non danneggia il reddito disponibile delle famiglie consumatrici? Per ragioni di spazio risponderò la prossima volta, ho la forte certezza che sarà ancora un tema di forte attualità. E in fondo, questo potrebbe essere già un primo importate indizio…
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